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Album TOP 10


Stefano


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premessa

La selezione dei miei 10 dischi preferiti è stata travagliata, ma alla fine ho deciso di sceglierli sulla base di due criteri: 1) dischi che hanno modificato la mia percezione della realtà (e dell'arte) e che, di conseguenza, hanno cambiato, poco o molto, la mia vita; 2) dischi che finora non ho mai smesso di ascoltare. Non è una classifica perchè, per me, sono tutti allo stesso livello di importanza, pertanto ho deciso di elencarli in ordine cronologico di pubblicazione.


NEIL YOUNG – After the Goldrush (1970) ind_b.jpg
 

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Uno dei primi dischi che ho comprato. Era il 1972. Avevo 16 anni. Era già uscito 'Harvest', il disco successivo di Neil Young, e lo avevo triturato sotto la puntina del mio pessimo giradischi portatile, a furia di ascoltarlo. Si narrava di un disco precedente, mitico, bellissimo, ma introvabile, dal titolo suggestivo: 'Dopo la corsa all'oro'. Finalmente riuscii, dopo vari tentativi, a comprarlo. Ricordo, come se fosse oggi, l'emozione del primo ascolto: l'arpeggio iniziale del primo pezzo 'Tell me why'. E poi 'After the gold rush', canzone sognante, dal testo distopico. E l'acida ma poetica denuncia antirazzista di 'Southern Man'. E 'Birds', delicata canzone d'amore. E ancora, 'Don't let it bring you down', sulla solitudine dell'esclusione sociale, con i suoi accordi sincopati. Infine, brano meno conosciuto, l'avvolgente ballata 'I believe in you', con il gruppo di spalla, i Crazy Horse, in gran spolvero.


PINK FLOYD – Atom Heart Mother (1970) ind_b.jpg
 

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Per me, il disco più bello dei Pink Floyd. Mi riferisco solo alla suite che occupa la prima facciata del disco (inteso come vinile). La seconda facciata è bella ma non così memorabile. Disco estremamente ostico ad un primo ascolto, soprattutto per un ragazzino di 15 anni come me. Ma quindi cosa mi aveva affascinato? Innanzitutto la copertina, con quella mucca al pascolo che si volta e fissa lo spettatore. Era lei la protagonista del disco, la 'Madre dal Cuore Atomico'? Molti anni dopo, avremmo saputo che la copertina era una (ben riuscita) seconda scelta dell'agenzia grafica e che il titolo dell'album era nato casualmente. Ma la musica non poteva essere casuale: gli ottoni, i vocalizzi corali, la melodia del violoncello, il giro di accordi dell'organo e il loop di basso che accompagnano uno splendido assolo della chitarra elettrica. Tutto pronto per il mito che anni e anni di ascolti non avrebbero intaccato.


JONI MITCHELL – Blue (1971) ind_b.jpg
 

hullGrazie a questo disco, ho avuto la fortuna di scoprire, da giovanissimo, una grande cantautrice che mi ha affascinato fin da subito per la sua voce, per i temi che proponeva nelle sue canzoni in cui parlava di amore, ma anche di nostalgia, di solitudine, di delusione, di speranza. Tutti temi più che adatti per un adolescente inquieto. E' unanimemente riconosciuto come il più bel disco di Joni Mitchell e come uno dei più belli di tutti i tempi. Dopo questo disco, per molti anni a venire, Joni ci avrebbe deliziato con tanti altri capolavori. Ma 'Blue' per me ha un sapore speciale: la voce cristallina ma anche profonda, la chitarra acustica così elaborata, quello strano strumento a metà strada fra una chitarra e un liuto (il dulcimer). Tutto meraviglioso e indimenticabile. Non saprei che altro dire se non citare 'A Case of You', la canzone che, da sola, merita tutta la fama e i riconoscimenti di questo disco.


EMERSON, LAKE & PALMER – Tarkus (1971) ind_b.jpg
 

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Questo disco si sovrappone all'esperienza di ascolto di 'Atom Heart Mother', descritta sopra. Anche in questo caso, mi trovavo di fronte ad un'opera molto ostica al primo ascolto, in cui il pezzo principale, la suite 'Tarkus', era tutto sul lato A dell'LP. La seconda facciata, era, in linea di massima, dimenticabile. Musica troppo tecnica, un po' freddina, pensavo, soprattutto nella prima parte, ma che si scioglieva decisamente con i pezzi cantati dalla bellissima voce di Greg Lake (il solo fatto di essere un ex dei King Crimson lo rendeva praticamente perfetto): 'Stones of Years' e 'Battlefield' i miei pezzi preferiti all'epoca. Keith Emerson era proprio un mostro di bravura alle tastiere, ma non riuscivo ancora ad apprezzarne le qualità compositive che avrei "scoperto" un po' alla volta, fino a considerare lui un genio della musica contemporanea (e non solo rock) e il suo 'Tarkus' un capolavoro.


VAN DER GRAAF GENERATOR – Pawn Hearts (1971)

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La bellezza della poesia, la magnificenza della musica: termini forse un po' roboanti, col senno di poi, ma che per me sedicenne rappresentavano a malapena le sensazioni che provavo quando mettevo sul piatto questo disco. Peter Hammill era come un fratello maggiore. Con lui trascorrevo pomeriggi interi ad ascoltare le sue poesie in musica, cantate con la sua voce graffiante che però sapeva essere anche conciliante, su un tessuto sonoro (con il doppio sax di David Jackson a fare da protagonista) che non si era mai sentito prima. Architettura complessa ma non tanto da non essere riproducibile quasi alla perfezione dal vivo: li vidi a Genova (il mio primo concerto) nel 1972 e fu un concerto indimenticabile. Dal grido angosciato dei 'Lemmings' alla tranquillità psicotica di 'Man-Erg', fino ad arrivare alla catarsi finale della suite 'A plague of lighthouse keepers', questo disco è un supremo capolavoro.


CLAUDIO ROCCHI - Volo Magico N.1 (1971) ind_b.jpg
 

manNei primissimi anni 70, Milano si trovava a metà strada fra l'India mistica dei santoni e la West Coast californiana della musica più innovativa. In quel ribollente clima artistico-culturale milanese, si stava formando un giovanissimo cantautore, già conosciuto per la militanza nel gruppo d'avanguardia Stormy Six e per i suoi spazi radiofonici a Per voi giovani dove mescolava misticismo orientale e idealismo hippie d'oltreoceano. Claudio Rocchi, nel 1971, appena ventenne, produce il suo capolavoro 'Volo Magico n.1', disco che entra come un treno in corsa nella mia vita, cambiando, per alcuni anni a venire, la mia visione della realtà. Era un modo totalmente nuovo di fare e di percepire la musica, c'era una immediata urgenza di cambiare il mondo (che poi sarebbe cambiato … ma, purtroppo, in peggio). Non era solo "Peace & Love", ma uno spiritualismo che fece presa sui ragazzi alla ricerca della loro identità.


KING CRIMSON – Islands (1971) ind_b.jpg
 

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In questa mia classifica, non poteva certo mancare un disco dei King Crimson, il gruppo che nei primi anni 70 cambiò davvero il rock e le sue finalità e che per me resta un punto di riferimento quando si parla di quegli anni. I primi quattro dischi dei Crimson sono tutti splendidi, uno più bello dell'altro, e, per motivi diversi, li adoro tutti. La mia scelta è caduta su 'Islands', l'ultimo della quadrilogia iniziale, soprattutto perché contiene 'Islands' il brano che dà il titolo all'album, una delle mie canzoni preferite in assoluto, un capolavoro della musica moderna, non solo rock. A metà strada fra pop e jazz, mette insieme il talento chitarristico e compositivo di Robert Fripp, supportato dal lirismo di Pete Sinfield, il cui testo assume la dignità di una vera e propria poesia, il tutto condito dal pianoforte 'free' di Keith Tippett che accompagna lo struggente assolo della tromba di Mark Charig. 


GRACE SLICK – Manhole (1973) ind_b.jpg
 

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Nel 1973 l'esperienza dei Jefferson Airplane era in una fase di stallo e la cantante del gruppo, Grace Slick, si imbarcò in un progetto solista, con il supporto di molti dei migliori musicisti della scena californiana, dai Jefferson fino a David Crosby. 'Manhole' è il titolo dell'album, la canzone per cui ho deciso di includerlo è il brano omonimo di 15 minuti circa, presente sulla facciata A, colonna sonora di un fantomatico film. E' una canzone in cui Grace Slick mette in mostra il suo talento vocale e compositivo. L'argomento della canzone è la Musica, la Musica come libertà, che nasce, si propaga, arriva alla pelle, all'orecchio, oltre il soffitto, con le sue diversità, musica spagnola e sinfonica: alla fine si scopre 'un altro modo di ascoltare'. Con la sua voce tirata dall'inizio alla fine, un po' in inglese, un po' in spagnolo, Grace corre verso la libertà e grida: 'DATEMI IL SOLE!', 'GIVE ME THE SUN!'.


CLAUDIO LOLLI – Ho visto anche degli zingari felici (1976) ind_b.jpg
 

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Sfumati gli ideali hippy di qualche anno prima, questo disco riporta alla realtà di un nuovo periodo storico dove impegno sociale e politico emergono con prepotenza. Piazza Maggiore, a Bologna, è la vera protagonista di quest'opera: le storie che vi si avvicendano rappresentano una fedele cronaca delle emozioni, delle tensioni e delle complessità che sarebbero sfociate nella rivolta giovanile bolognese dell'anno successivo. La piazza che ospita i funerali delle vittime della strage del treno Italicus ('Agosto'). La piazza che celebra la fine della guerra in Vietnam, conclusasi il 30 aprile del 1975 ('1° Maggio di festa'). La piazza degli incontri e degli amori ('Anna di Francia'). La piazza del confronto fra generazioni diverse che si uniscono nell'euforia del vino ('Albana per Togliatti'). 'Ho visto anche degli zingari felici' con il suo sax, ormai iconico, apre e chiude il disco con una voce di speranza.


FRANCESCO DE GREGORI – De Gregori (1978) ind_b.jpg
 

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Dopo il processo “politico” che dovette subire nel 1976 durante un concerto, da parte di un gruppo di extraparlamentari di sinistra, che lo accusavano di essere troppo compromesso con il sistema, De Gregori, sotto shock, decise che avrebbe abbandonato il mondo della musica per sempre. Ma dopo due anni di silenzio, nel 1978 si ripresentò con questo nuovo album che rappresenta la sua rinascita artistica. E' un disco in cui l'autore si propone al pubblico con un basso profilo, come se volesse dare risalto esclusivo alle sue canzoni: titolo e copertina minimalisti, arrangiamenti essenziali, le canzoni sono musicalmente semplici ma hanno testi complessi, fra i più ermetici della sua produzione. Vi sono molti sprazzi di vera poesia, frasi che emergono per il loro lirismo, all'interno delle sue storie talvolta oscure. Ma io ho imparato, negli anni, a farmi coinvolgere dai suoi testi senza fare troppe domande.


 

Autore : Stefano Sorrentino, Ottobre 2024