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JONI MITCHELL

Blue - diario di una donna


Era da un po' di tempo che volevo scrivere di 'Blue', il disco capolavoro di Joni Mitchell, la grande cantautrice canadese-americana. Uscito nel 1971, il disco fu all'epoca campione d'incassi in USA, Inghilterra e Canada: riconosciuto unanimemente come uno dei più begli album della musica pop di tutti i tempi, nel 2000 è stato scelto dal New York Times come uno dei 25 album che hanno rappresentato “un punto di svolta apicale nella musica popolare del XX secolo”, mentre nel 2020 si è classificato al terzo posto nella classifica dei 500 migliori album di tutti i tempi della rivista Rolling Stone, il primo di una artista donna.

Dicevo che era un po' che desideravo scriverne e lo spunto è arrivato dall'esibizione di Joni al Festival Folk di Newport, negli Stati Uniti, lo scorso 25 luglio. Questo Festival ha da sempre rappresentato un momento significativo nelle carriere di parecchi artisti: ha lanciato, fra gli altri, Joan Baez e Bob Dylan; quest'ultimo vi si è esibito nel 1963 e nel 1964, riscuotendo un successo tale da guadagnarsi il titolo planetario di nuovo profeta della musica di protesta giovanile, per poi, nell'edizione del 1965, essere rabbiosamente contestato dalla stragrande maggioranza dei suoi fans per l'abbandono della chitarra acustica a favore di un accompagnamento rock (dando luogo alla sua cosiddetta “svolta elettrica”).

Joni Mitchell aveva già partecipato in precedenza a tre edizioni fra il 1967 e il 1969.
Quest'anno si è esibita, a sorpresa, in una performance di circa un'ora in cui ha cantato una decina dei suoi maggiori successi. L'occasione è stata considerata come una sorprendente rinascita della 78enne artista dopo l'aneurisma cerebrale che l'ha colpita nel 2015, lasciandola incapace di parlare e camminare.
Vederla di nuovo sul palco, anche se seduta e coadiuvata nella performance da altri amici musicisti, è stata una grande emozione per tutti i suoi fans, compreso il sottoscritto.

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Roberta Joan Anderson è nata nel 1943 a Fort Macleod in Canada. Ha assunto il cognome Mitchell dal suo primo matrimonio, peraltro di breve durata, con il cantautore Chuck Mitchell, con cui ha condiviso il primo periodo della sua attività musicale.

Joni Mitchell è, secondo le sue stesse parole, principalmente una pittrice che si è dedicata alla musica come sbocco della sua incontenibile creatività (sull'argomento, potete leggere un altro nostro articolo "Joni Mitchell, la canta-pittrice" a questo link  >>>> 

Questo fra l'altro le ha consentito di essere l'autrice di molte delle copertine dei suoi album.

'Blue' è il suo quarto album, pubblicato nel 1971, da lei interamente scritto e prodotto. L'album è considerato il suo capolavoro, ma tutta la sua produzione, sicuramente quella degli anni 70, è di livello stratosferico. Cito solo, per la cronaca, altri due magnifici album: 'For the Roses' del 1972 e 'Mingus' del 1979.

Il background di Joni Mitchell si colloca nell'atmosfera particolarmente creativa dei musicisti della West Coast californiana alla fine degli anni 60. Inizia come cantautrice folk e i primi dischi la consacrano come una delle più interessanti artiste del periodo. David Crosby produce il suo primo album. Con Graham Nash e James Taylor vivrà storie d'amore travolgenti ma anche devastanti. 'Blue' è la testimonianza di questo dolore: in questo disco, Joni Mitchell raggiunge un livello di introspezione mai più raggiunto da altri cantautrici o cantautori. Senza alcuna esitazione, mette a nudo i suoi più intimi sentimenti e ci regala il racconto delle sue travagliate storie personali, filtrate dalla sua sensibilità femminile, garbata ma diretta e priva di fronzoli.

Le descrizioni dei sentimenti, degli ambienti, delle persone, sono colorate e immaginifiche e beneficiano della sua esperienza di pittrice.

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Le tracce di 'Blue' sono tutte prevalentemente acustiche e per la maggior parte si accompagna da sola: Joni Mitchell si cimenta al pianoforte, alla chitarra, con una tecnica sopraffina caratterizzata da “accordi aperti”,  e all'Appalachian dulcimer, una specie di liuto orizzontale, da suonarsi seduti, con lo strumento sulle ginocchia, con cui si esibiva anche dal vivo (come documenta il video in calce a questo articolo).

Le canzoni non sono facilmente etichettabili: Joni inventa uno stile tutto suo, che sarebbe riduttivo definire folk, ancora lontano dalle sonorità fusion e jazz che contraddistingueranno gli album successivi. La caratteristica principale è la straordinaria voce, che copre tre ottave, passando da registri acuti e cristallini a fraseggi più profondi.

La capacità di interpretazione vocale e strumentale è uno dei suoi punti forti e si articola fra atmosfere leggere e altre più emotivamente impegnate: per noi non anglofoni, è fondamentale avere il testo a disposizione per poterla apprezzare al meglio (ma per fortuna Google ci aiuta).

I temi dei brani sono variegati, è la sua vita che viene passata al setaccio: riflette su incontri, viaggi, ricordi, rimpianti, desideri e speranze.

Molte sono canzoni d'amore, influenzate dalle sue faticose relazioni sentimentali: 'My old man' descrive la sua convivenza con Graham Nash; James Taylor è raffigurato, forse nel suo periodo più tossico, in 'Blue'.

Ma parla anche di doloroso amore materno: 'Little Green' è ispirata dal rimorso per aver dato in adozione la sua unica figlia, perché, a quanto si racconta, non si riteneva in grado di badare a lei.

La più bella canzone dell'album, vero capolavoro nel capolavoro, resta 'A case of you', forse una delle più conosciute di Joni Mitchell e una di quelle più interpretate da altri: in un semplice arrangiamento con il suo dulcimer e la chitarra acustica suonata da James Taylor, la voce raggiunge livelli stellari mentre ci descrive la passione di una storia d'amore ormai finita ma ancora viva nel suo sangue, come un vino santo, di cui potrebbe bere una intera cassa senza ubriacarsi.


L'album si chiude con la malinconica 'The Last Time I Saw Richard' ('L'ultima volta che ho visto Richard') che racconta di un vecchio amico incontrato dopo molti anni in uno squallido bar e riassume nei versi finali il proprio inevitabile destino di solitudine:

All good dreamers pass this way some day
Hidin' behind bottles in dark cafes

A ogni buon sognatore può capitare un giorno o l'altro

Di nascondersi dietro le bottiglie in un caffè buio


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Per approfondire
>>>> sito ufficiale

Proposte di Ascolto (clic the pic)
 
blue_8.jpg A case of you

yu1.jpg  link al Focus #6/2023


Autore : Stefano Sorrentino, 09/08/2022