Alan
Sorrenti, mio quasi omonimo e mio quasi compagno di università
(nel senso che abbiamo frequentato insieme alcune lezioni del corso di ‘Storia
della Musica’ al ‘Dams’ di Bologna nel lontano 1975), è un cantautore pop.
Più
precisamente, è stato autore alla fine degli anni 70, di una delle più clamorose
svolte ad ‘U’ che la storia della musica ricordi, abbandonando un genere (‘impegnato’,
‘prog’, o come lo si voglia chiamare), che lo aveva fatto amare da tantissimi appassionati
di musica italiani, per abbracciare un genere pop più commerciale, decisamente
(almeno apparentemente) distante anni luce dalle sue origini.Svolta
ad ‘U’ altrettanto clamorosa forse come quella della ‘Electric Light
Orchestra’, passati improvvisamente, sempre alla fine degli anni 70, dal genere
rock sinfonico, che faceva molto ben presagire, alla ‘disco music’ più
sfacciata.
Per
tornare a bomba, il nostro Alan, prima di diventare universalmente conosciuto
per successi come ‘Figli delle stelle’, ‘Non so che darei’, ‘Tu sei l’unica
donna per me’ e altre hit, ha avuto un debutto pirotecnico con due album
magnifici (‘Aria’ del 1972 e ‘Come un vecchio
incensiere all'alba di un villaggio deserto’ del 1973) che lo vedevano come
nuovo pioniere del progressive rock sperimentale nostrano e che il sottoscritto
ha adorato e consumato a furia di ascoltarli, soprattutto il secondo.
Poi,
nel 1974, il terzo album (‘Alan Sorrenti’) che faceva già intravvedere la
svolta verso un genere più orecchiabile (album ripudiato dai sostenitori più
duri e puri del prog ma per me bellissimo), che racchiude comunque tutto il suo vecchio background
condito da elementi pop: insomma una fase di transizione, molto intelligente a
mio parere, nella produzione del cantautore che abbandonava un genere in cui
forse si sentiva stretto o poco apprezzato per cercare di sfondare nel mercato
USA.
Questo
album contiene alcuni brani decisamente pop, ma che richiamano in modo marcato
la sua precedente produzione, soprattutto nell’uso della sua voce
particolarissima: a titolo di esempio, vorrei citare il brano di apertura ‘Un
viso d’inverno’ che inizia come una canzone melodica ma che nella seconda parte
sfodera un uso della vocalità che lo ricongiunge agli esperimenti dei primi due
album.
Altro
brano da evidenziare è ‘Ma tu mi ascolti’ (la canzone più bella dell’album)
dove Alan Sorrenti narra (forse) i motivi che lo hanno portato, in modo molto
sofferto, alla sua nuova carriera musicale (‘Era inverno inoltrato, quando
hanno cercato di farmi dimenticare di me stesso ed io mi sono perso’).
Senza
dimenticare ‘Dicitencello vuje’, cover (come si direbbe oggi) di un classico
brano della canzone napoletana, che ha rappresentato il primo tentativo
(perfettamente riuscito e di successo) di sdoganare un genere dialettale che
avrebbe aperto le porte a molti artisti fra cui, per citarne solo uno,
l’immenso Pino Daniele.
Il
1974 è stato quindi l’anno della svolta per Alan Sorrenti: dopodiché l’Italia
ha perso un genio innovativo del progressive rock e si è ritrovato un
talentuoso autore di (belle) canzoni pop.
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P.S.
Ho
avuto l’occasione di ascoltare il box del 2018 ‘The Prog Years Box’ che
contiene, completamente rimasterizzate, tutte le canzoni del primo periodo
oltre ad alcuni inediti, fra cui la demo ‘Sai amore’, probabilmente del 1974
(lo stesso Alan Sorrenti, in una recente intervista, non è riuscito a datarla
in modo più preciso): è un brano molto ispirato, per voce e pianoforte, registrato
in presa diretta, composto da un solo verso che viene ripetuto più volte (‘Sai
amore che io vivo nell’attesa di te’). Inutile dire che ascoltare un suo
inedito dell’epoca è stata veramente un’emozione da pelle d’oca.
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