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SHANE MACGOWANAll'inferno e ritorno |
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Certo che
sono proprio un fesso. Sono stato io a chiedere a Roberto, il mio riferimento per il sito, di
scrivere un articolo su Shane MacGowan e adesso sono qui da venti minuti buoni davanti a una pagina
bianca di Word, con il cursore che lampeggia in alto a sinistra, quasi
interdetto. L’ex cantante dei Pogues è da sempre uno degli artisti cha ammiro
di più in assoluto e adesso mi accorgo che mica è facile scriverne. La paura è
quella di scordarsi qualcosa tra la marea di concetti che si accumulano in
testa come su una pista di autoscontri. Ancora peggio sarebbe rovinare
l’articolo con dei superlativi abusati e che, in quanti tali, diventerebbero
vuoti di significato. «Ah, sì:
quello di Fairytale of New York,
bellissima!» oppure «Quello alcolizzato e senza denti?»: queste sono più o meno
le risposte che quasi sicuramente ottenete quando in una discussione tra
appassionati di musica (ma non maniaci dei Pogues) salta fuori il suo nome. Lo
scorso 25 Dicembre ha compiuto 64 anni e il destino ha deciso che fosse proprio
uno nato il giorno di Natale a creare quella che per molti, compreso chi
scrive, è la più bella canzone di Natale “alternativa”. D’altronde Shane
MacGowan non ha fatto nulla per scrollarsi di dosso la nomea di ubriacone. Gli
aneddoti a riguardo si sprecano e, per citarne uno successo entro i nostri
confini, pare che il dottore che lo visitò dopo il suo arrivo comatoso a
Correggio nel 1995 dove avrebbe dovuto suonare con i Popes non riuscisse a capacitarsi
che con quelle analisi potesse essere ancora in vita. Insomma,
visto il peso che l’alcool e Fairytale of
New York hanno avuto nella carriera sua e dei Pogues, credo che non sarebbe
corretto ometterli. Ma c’è un
“ma” grosso, enorme: si dà il caso infatti che soprattutto coi Pogues (ma non
solo) Shane MacGowan abbia scritto una infinità di brani destinati a rimanere
tra i più belli che la musica leggera di quegli anni ricordi: ha dipinto la
Londra degli immigrati irlandesi coi colori più precisi, ha raccontato in presa
diretta cosa succede nei sobborghi delle grandi città, tra ragazzini che
sniffano colla mentre Padre John si beve una Coca Cola perché ancora una volta
si è preso la sifilide; ha seguito le odissee di chi dall’Irlanda puntava
all’Inghilterra in cerca di una vita migliore e ha preso posizione a favore dei
6 di Birmingham (e io manco sapevo chi fossero i Birmingham Six prima di sentirli nominare da lui). Come
accennato sopra, nasce il 25 Dicembre 1957 nel Kent, in Inghilterra, da due
genitori irlandesi, Maurice e Therese. Il padre è un tipico impiegato esponente
della middle class mentre la madre insegue la gloria artistica attraverso la
danza tradizionale irlandese, il canto e la moda, fino ad essere eletta Ragazza
Irlandese dell’anno 1954. Proprio l’Irlanda è un riferimento continuo dei primi
anni della sua vita. È a Tipperary infatti che Shane passa tutta l’infanzia
insieme alla famiglia materna. I genitori non possono spostarsi dai loro lavori
in Inghilterra e preferiscono farlo crescere nella verde campagna irlandese. Shane
gode di una incredibile libertà ed entra da bambino in contatto con quasi tutti
i vizi: il fumo, l’alcool, la droga, il gioco d’azzardo e le scommesse sui
cavalli e sui cani. Il
trasferimento a Londra da adolescente per vivere con i suoi genitori è benzina
sul fuoco di una personalità già debordante, sempre sul crinale tra una
sensibilità ben oltre la media e una esuberanza difficilmente controllabile. In
Inghilterra vive da paddy, da
irlandese che non ha la minima intenzione di rinnegare la proprie origini, con
le conseguenti risse con i coetanei più fieramente inglesi. Il disagio nella
vita di tutti i giorni viene in parte compensato dalla vivacità della vita
notturna londinese e il fascino maggiore per il giovane Shane lo esercita la
scena punk. Nelle serie tv e nei documentari dedicati alle origini di quel
movimento musicale è tutt’altro che raro riconoscere un giovanissimo Shane
MacGowan tra il pubblico nei concerti di Sex Pistols, Clash o Damned. A
diciassette anni vive il primo ricovero in manicomio. È lui stesso a parlarne:
«Ho accettato di andarci per sei mesi e mi hanno disintossicato dalla droga.
Penso di aver avuto un crollo mentale, che è leggermente diverso da un
esaurimento nervoso. Avevo ansia acuta, depressione, allucinazioni. Tremendo.
Roba demoniaca. Bevevo e prendevo molte pillole. Eccitanti, calmanti, acido, e
avevo una prescrizione per il Valium». La sua
capacità tutt’altro che scontata è stata poi quella di riuscire a canalizzare
tutte queste esperienze, filtrarle con la sua personalità e metterle in musica
con una abilità nell’utilizzo della lingua inglese assolutamente fuori dal
comune. Per me
l’illuminazione è arrivata grazie a Poguesie,
un libro uscito nel 1991 ed edito da Arcana in cui Alberto Campo fa un ottimo
lavoro di traduzione, da una parte cercando di restare quanto più possibile
fedele alle espressioni inglesi e dall’altra puntellando i testi con dei
continui e illuminanti riferimenti alle espressioni in slang più criptiche per
i non anglofoni. Cercare di rintracciare quelli più significativi per quanto mi
riguarda significa davvero fare un torto a una produzione musicale fatta di
tante piccole pennellate che compongono un quadro grezzo e scintillante come
pochi. I primi due
dischi (Red roses for me del 1984 e Rum Sodomy & the Lash del 1985,
quest’ultimo prodotto nientemeno che da Elvis Costello ai tempi fidanzato con
la bassista Cait O’Riordan) sono quelli che tracciano la via: strumenti tipici
della tradizione irlandese suonati con un approccio punk che coinvolge anche i
testi. È la
produzione di Steve Lillywhite che si incarica di ingentilire e smussare i
suoni per il successivo If I Should Fall
from Grace with God del 1988. I brani diventano molto più radiofonici e la
presenza nella tracklist di Fairytale of
New York fa il resto. Il successo diventa mondiale e il tour che promuove
l’album è il più lungo nella storia della band. Dal vivo è forse il loro
periodo migliore: quando Shane riesce a reggersi in piedi regala delle
interpretazioni che successivamente difficilmente riusciranno ad essere
eguagliate. Su YouTube
si trova una esibizione al Town and
Country Club di Londra che ben riassume la potenza del gruppo di quel
periodo: https://www.youtube.com/watch?v=uyG89NspDQQ
In Peace and Love del 1989 e Hell’s Ditch del 1990 (quest’ultimo con
Joe Strummer in veste di produttore) non mancano i grandi pezzi ma
l’impressione è che i Pogues abbiano già detto quello che avevano da dire. La presenza
di Shane nel gruppo è sempre più svogliata e problematica e sarà spesso proprio
Joe Strummer a sostituirlo negli show a cui non è in grado di partecipare. Le strade
proseguiranno separate con i Pogues che incideranno Waiting for Herb e Pogue
Mahone rispettivamente nel 1993 e nel 1996 con Spider Stacy alla voce e
Shane MacGowan che si allontanerà progressivamente dai suoni della tradizione
irlandese insieme ai Popes. "Tutti
mi chiamano poeta. Ma è molto fastidioso essere chiamato poeta quando sei un
musicista. Significa che perdi un sacco di tempo a scrivere musica."
(Shane Mac Gowan) |
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Autore : Federico Piva, 04/04/2022 |
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