«Ma davvero
qui in Sudafrica vendono i dischi di Rodriguez?». Tutto è partito da lì, da una
banalissima domanda che una amica sudafricana ma residente a Los Angeles ha
posto a Stephen Segerman mentre si stavano rilassando sulla spiaggia di Camps
Bay Beach, a Cape Town. Le centinaia di telefonate, il delirio delle piste
seguite e poi abbandonate, gli entusiasmi enormi e brevissimi e le repentine
disillusioni sono tutti nati dallo stupore espresso in quella frase detta quasi
sopra pensiero mentre prendevano il sole. In America in sostanza non c’era modo
di trovare un disco di Rodriguez. Per gli appassionati di musica sudafricani
invece i suoi erano quei dischi che si trovavano nella casa di chiunque avesse
una collezione di vinili accettabile. Era come Abbey Road dei Beatles o Bridge
over troubled water di Simon & Garfunkel. Non era un disco di nicchia, era uno
degli album da cui partire per crearsi una discografia appena decente. A
maggior ragione da quando le sue canzoni erano diventate parte integrante delle
proteste anti-apartheid. Per alcuni parte del suo fascino stava anche nel modo
in cui è morto: quello che si sapeva con certezza era che si trattava di un suicidio
ma nessuno sapeva esattamente come. C’era chi diceva che si fosse sparato alla
tempia sul palco per la frustrazione di una esibizione davanti a un pubblico
poco attento, c’era chi sosteneva che si fosse invece dato fuoco sempre al
termine di un concerto. Certi altri invece sostenevano che si fosse impiccato
in casa. Gli unici suoi due dischi (Cold
fact e Coming from reality) erano
stati pubblicati nei primi anni Settanta dalla Sussex, un’etichetta tutt’altro che
poco conosciuta. Insomma, c’erano tutte le caratteristiche per raccogliere il
grande successo che stava raccogliendo in Sudafrica mentre, con enorme sorpresa
di Stephen, pareva che l’America l’avesse completamente ignorato.
Stephen
Segerman, proprietario di un negozio di dischi a Cape Town, è soprannominato Sugarman, dal titolo della prima canzone
del disco di debutto di Rodriguez. La sua fissazione gli era valsa un grande
onore: in una riedizione di Coming from
reality gli avevano concesso la possibilità di scrivere una piccola
introduzione da inserire nel booklet del CD. È lì che aveva fatto menzione
della storia molto nebulosa che circondava questo artista ed è stato grazie a
quella introduzione che ha conosciuto Craig Bartholomew. Craig è un
appassionato di musica ma soprattutto un impareggiabile giornalista
d’inchiesta. Alla fine delle brevi note di copertina, dopo una sorta di elenco
di tutti i dettagli piccoli e grandi rimasti sconosciuti sulla vita di
Rodriguez, Segerman scriveva, quasi per scherzo, «Là fuori c’è qualche
detective musicologo in grado di aiutarmi?». Per Bartholomew è stato un invito
a nozze. Lo ha chiamato pochi minuti dopo aver letto quelle righe e i due hanno
iniziato a fare delle ricerche, qualche volta al limite dello spionaggio. Per
un lungo tratto di tempo però, le mille domande sulla sua storia sembravano
dover rimanere senza risposta: più cercavano di andare a fondo alla cosa e più si
rendevano conto che davvero Rodriguez sembrava aver venduto dischi soltanto in
Sudafrica.
La svolta
arriva praticamente per caso, quando Craig Bartolomew, ormai convinto a mollare
definitivamente le ricerche, riascolta per la milionesima volta e per puro
piacere personale Cold Fact per
intero durante un viaggio. È su Inner City Blues che arriva la svolta
decisiva quando, nonostante sia un brano che conosce a memoria, Craig dà per la
prima volta la giusta importanza al verso «Met a girl from Dearborn» e in
particolare a quest’ultimo dettaglio geografico. Dearborn è nel distretto di
Detroit, la città di provenienza di Mike Theodore, il produttore del disco
d’esordio di Rodriguez.
Craig e
Stephen decidono allora di chiamare Mike Theodore insieme perché ognuno
controlli il livello di ansia dell’altro e per evitare di giocarsi male l’unico
spiraglio che intravedono alla fine di un tunnel che durava da mesi. Mike
Theodore risponde e fa scoppiare dentro di loro una gioia che a distanza di
tanti anni non saprebbero spiegare. Dopo una ventina di minuti di chiamata
intercontinentale decidono di fargli la domanda regina, quella che più di tutte
li aiuterebbe a chiudere il cerchio. Craig parte da lontano, cerca di usare
tutto il tatto che conosce e in un crescendo di drammaticità quasi teatrale
arriva al punto: «Come è morto Rodriguez?». Il contrasto tra il clima
claustrofobico che Craig ha cercato di creare e la risposta di Mike è spietato.
Mike infatti esplode in una risata irrefrenabile e insieme sprezzante della
cautela usata da Craig. «In che senso, morto?», riesce a biascicare senza
trattenere la risata, «Sixto Rodriguez è vivo e vegeto e abita a Detroit con la
sua famiglia».
La risata di
Mike viene comoda a Craig e Stephen per riempire lo spazio del silenzio che
cala dalla loro parte della cornetta. L’unica notizia che davano per certa sul
conto di Rodriguez in realtà è falsa. Da lì Craig ottiene il benestare per
scrivere un articolo sul suo giornale su tutta la vicenda e Stephen mette in
piedi quella stessa notte un rudimentale sito internet in cui mette la foto di
un cartone del latte su cui inserisce quella di Rodriguez e la scritta MISSING ben visibile al centro, un po’
come fanno in America per le persone scomparse, con poche righe in cui spiega
l’improbabile vicenda di questo cantautore così decisivo per la storia del
Sudafrica. L’intenzione è quella di sfruttare Internet, uno strumento allora ancora
nuovo, per chiamare a raccolta chiunque potesse fornire loro qualche dettaglio
utile. Le cose restano ferme per un paio di settimane e poi arriva un nuovo
tornado, il più forte di tutti, che prende in pieno Stephen e Craig.
Sul sito
arriva un nuovo messaggio e i due amici capiscono subito che non si tratta di
uno dei soliti messaggi lasciati da qualche mitomane in giro per il mondo. Il
mittente si chiama Eva Alice Rodriguez. Le prime righe del messaggio recitano
così: “Rodriguez è mio padre! Sono seria.” Seguono poche parole in cui la
mittente scrive che è venuta a sapere del sito grazie all’articolo di Craig.
Poi continua con una frase che uno dei mitomani che ogni tanto si fanno sentire
non avrebbe mai usato: “Davvero volete sapere di mio padre? A volte è più bello
tener viva la fantasia.” In fondo al messaggio lascia il suo indirizzo di casa,
l’indirizzo mail e il numero di telefono. Craig e Stephen decidono allora di
procedere come con Mike Theodore e aspettare il primo pomeriggio per
telefonare. E lei alza la cornetta. La chiamata dura pochi minuti in cui lei
spiega per sommi capi il ritorno di suo padre ai lavori edili appena dopo aver
concluso l’esperienza discografica e di come lui sia completamente all’oscuro
dell’enorme successo che riscuote in Sudafrica; Stephen le spiega il motivo per
cui si fa chiamare Sugarman e il
perché ha messo in piedi il sito internet dedicato a Rodriguez. Le lascia il
numero di telefono con la promessa di risentirsi presto.
All’1.00 di
notte di quella stessa giornata arriva l’ennesimo colpo di scena: Stephen è
seduto sul letto col fiatone e con un gran spavento che gli pulsa nel petto
mentre sul comodino di sua moglie sta squillando il telefono. Lei lo guarda
preoccupata appena prima di alzare la cornetta. Dopo pochi secondi muove le
labbra con gli occhi spalancati. Tiene la mano sul microfono del telefono
mentre gli sussurra: «È lui!». Stephen butta le coperte e corre nel suo piccolo
studio dove alza la cornetta dell’altro telefono che hanno in casa e urla a sua
moglie di abbassare il suo.
«Pronto?»,
«Pronto? Parlo con Sugar?». Lo riconosce all’istante. È lui. L’ha ascoltato
così tante volte mentre giravano i suoi vinili che mentre dice «Pronto?» sa che
sta parlando con Rodriguez. È più probabile che si confonda con la voce di sua
moglie che con quella di Rodriguez. La telefonata più emozionante della sua
vita si conclude con un enorme groppo in gola che non riesce a sciogliere.
Passano pochi giorni e si risentono, stavolta con Stephen ci sono Craig e un
paio di altri amici appassionati e completamente rapiti dalla musica e dal
personaggio di Rodriguez. La telefonata è molto più cordiale e distesa. Rodriguez
non ha più inciso nulla ma, appena trova un po’ di tempo libero dal lavoro,
continua a suonare la chitarra e a comporre. In quell’istante nasce un nuovo
capitolo di questa avventura incredibile i cui colpi di scena sembrano non
avere mai fine. Stephen e Craig riescono infatti a portare Rodriguez in
Sudafrica per due concerti il 6 e il 7 di Marzo al Bellville Velodrome, per due
date completamente sold-out. che si è
guadagnato numerosi premi e riconoscimenti culminati nel 2013 con l’Oscar per
il miglior documentario. Il suo regista, lo svedese Malik Bendjelloul,
nell’ennesimo incredibile colpo di scena di questa vicenda, si è suicidato nel
Maggio 2014 al termine di un periodo di depressione. Pochi mesi prima, nel Marzo
2014, ho avuto la fortuna di assistere a un concerto di Rodriguez a Bologna.
Fino a quando è comparso sul palco, lo giuro, in me rimaneva il dubbio che non
esistesse veramente.
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