Una
rapida avvertenza iniziale: non si tratta di un disco “interessante”, uno di
quelli che si guadagnano un voto di sette su dieci o di tre stelle su cinque
sulle riviste specializzate. È un album viscerale e in un certo senso
ingombrante: se siete degli appassionati di rock sudista o di metal finlandese
le nove tracce di Solid Air vi
risulteranno con ogni probabilità insignificanti ma se nella vostra collezione
ci sono Happy Sad di Tim Buckley e Pink Moon di Nick Drake sarebbe per lo
meno curioso che non ci fosse anche questo capolavoro.
Proprio
quello di Nick Drake è il nome a cui il disco è legato a doppio filo: i due
erano amici oltre che colleghi di etichetta ed è a lui e ai suoi fantasmi
interni che all’epoca stavano acquisendo dimensioni sempre più grandi e
difficili da gestire che John Martyn ha voluto dedicare la prima canzone in
scaletta, che fa anche da title-track. Purtroppo è servita a poco perché da lì
a diciotto mesi Nick Drake sarebbe morto di overdose da anti-depressivi. Beffa
delle beffe, leggenda vuole che proprio Solid
Air divenne materia di furiosi litigi tra i due amici, con Nick Drake ad
accusare il cantautore scozzese di essersi venduto e di aver composto un disco
troppo commerciale. A pensarci oggi fa quasi sorridere.
La
prospettiva regalataci dal tempo che passa ha per fortuna reso giustizia
all’album collocandolo nel bel mezzo delle produzioni migliori di John Martyn:
esce nel Febbraio del 1973, dopo Bless
the Weather (del Novembre 1971) e prima di Inside Out (Ottobre 1973) e di Sunday’s
Child (Gennaio 1975), vero e proprio poker d’assi del nostro. Come spesso
succede, le vendite dell’epoca furono tutt’altro che esaltanti e Martyn conobbe
qualche successo commerciale ed economico molto più avanti, grazie alle
collaborazioni con Phil Collins ed Eric Clapton. Quello che mette di diritto Solid Air sul primo gradino del podio,
almeno per i gusti di chi scrive, è la varietà delle composizioni: nei trentacinque
minuti scarsi del disco si concentrano buona parte delle tematiche e dei suoni
che hanno caratterizzato l’arte del nostro. È uno di quei dischi che andrebbe
ascoltato per intero e rispettando l’ordine della scaletta scelta da John Martyn.
Non ha perciò molto senso fare l’esegesi di ogni singolo brano. Oltre alla già
citata canzone che dà il titolo al disco meritano però una menzione Over the Hill, con una di quelle parti
iniziali che dopo pochi secondi ti fa già intuire che stai per sentire un
piccolo gioiello, una cover di Devil Got
My Woman di Skip James che qui diventa I’d
Rather Be the Devil e che raggiunge il perfetto equilibrio tra sperimentazione
e impasto dei suoni e May You Never,
con un testo che ricorda vagamente quello di Forever Young di Bob Dylan, che a forza di richieste dei fan
diventerà un punto fermo dei suoi live shows e che piacque a Clapton al punto
da inserirla nel suo Slowhand del
1977.
Solid Air, aria solida, risulta essere un titolo
perfetto per come riassume le due anime del disco: quella eterea in cui John
Martyn si lascia andare alle sperimentazioni più libere sia vocali che
musicali, supportato alla grande da buona parte dei Fairport Convention e da
Danny Thompson dei Pentangle al contrabbasso, e quella terrena, con gemme di
pop acustico che verranno direttamente consegnate alla storia del genere.
Piccola
nota biografica: le ombre dei fantasmi che avevano dato la caccia a Nick Drake
raggiungeranno anche John Martyn: soprattutto dopo la rottura nel 1979 del
matrimonio con Beverly Kunter, sua storica collaboratrice, inizia quello che
lui stesso ha definito il periodo più buio della sua vita, caratterizzato da un
rapporto sempre più stretto e pericoloso con l’alcool. Ci ha lasciato nel
Gennaio 2009 al termine di un’esistenza con pochissimi compromessi.
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