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Jackson C.Frank
E' il blues che comanda i giochi
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A vederlo
così, nel 1964 col vento tra i capelli insieme alla sua fidanzata Katherine
Wright sulla Queen Elizabeth che lo sta portando da New York all’Inghilterra
solo per comprare un’auto di lusso, Jackson C.Frank sembra uno dei tanti
giovani privilegiati figli di papà americani baciati in fronte dal boom
economico di qualche anno prima. La sua in realtà è una delle storie più
tragiche della storia della musica leggera.
Nasce nel
1943 a Buffalo, nello stato di New York e ben presto prende il cognome del patrigno
Elmer Frank, ufficiale dell’esercito. È il 31 Marzo 1954 quando la sua vita
cambia in modo irreversibile. Alla mattina un botto assordante squarcia e
devasta il locale delle caldaie della Cleveland Hill Elementrary School di
Cheektowaga, ironia della sorte durante l’ora di musica. Le fiamme che ne
scaturiscono non lasciano scampo a quindici studenti. Jackson ne esce come una
torcia umana. Le fiamme che lo avvolgono vengono estinte grazie alla neve ma gli
lasciano in dote ustioni su oltre metà del corpo e problemi alla articolazioni
che non lo abbandoneranno mai più. La degenza in ospedale sarà lunga e dolorosa
ma non tutto il male viene per nuocere: l’episodio colpisce come un pugno
l’opinione pubblica e ne attira l’attenzione per parecchio tempo, tanto che
viene organizzata una visita da parte di Kirk Douglas. Il bambino immortalato per
l’occasione in pigiama con l’attore sul Buffalo Evening News è proprio Jackson
C. Frank
Nonostante il comprensibile rifiuto iniziale poi, grazie all’insistenza
di un insegnante di nome Charlie Castelli che gli regala la sua prima chitarra
acustica per distrarlo dalle lunghe giornate in ospedale, Jackson inizia a
strimpellare cercando di imitare gli accordi delle canzoni di Elvis che escono dai
vinili portati in dono dai benefattori. Nel 1957 ha l’occasione di incontrare
il suo idolo in un evento di quelli che oggi chiamano meet and greet organizzato per i bambini rimasti feriti
dall’incendio della Cleveland Hill.
L’incontro
lo riappacifica definitivamente con la musica tanto che inizia a comporre
numerosi brani propri e cerca di inserirsi nel circuito folk newyorkese.
All’età
di ventun anni, quindi dieci anni dopo l’incendio della scuola, un nuovo evento
disegna per lui un nuovo destino: l’assicurazione gli liquida l’indennizzo per
la bellezza di centodiecimilaecinquecento dollari che, calcoli alla mano,
equivalgono a circa novecentomila dollari del giorno d’oggi. L’introito di una
cifra del genere lo trova completamente impreparato tanto che non è l’amore per
la musica che lo spinge al viaggio di cui vi accennavo all’inizio ma quello per
le auto. Su un giornale locale legge infatti che è l’Inghilterra il posto
migliore per fare affari con le automobili e, su di giri per essersi ritrovato
all’improvviso ricco, coinvolge la sua ragazza e si imbarca in fretta e furia
portando con sé la chitarra solo per passare il tempo del lungo viaggio in
nave.
La scelta
è quanto mai azzeccata perché leggenda vuole che sia proprio in quel viaggio
che Jackson C. Frank compone Blues run
the game, destinato a diventare il suo più grande successo. Qualche giorno
dopo il loro approdo in terra inglese, i due fidanzati fanno conoscenza a
Londra con tal Judith Piepe, vicina di casa di Al Stewart e Paul Simon con cui
organizza subito un incontro. È Paul Simon, che condivide con Jackson C. Frank
il destino di americano in terra inglese, a rimanere più colpito dalla sua
musica, tanto da trascinarlo in studio (il Levy’s Recording Studio, al 103 di
New Bond Street a Londra) e fargli da produttore per il suo omonimo album di
debutto. Le registrazioni durano solo sei ore, con diverse tracce prese alla
prima take, in un clima decisamente surreale: alle prese con la chitarra
Jackson C. Frank diventa timido in maniera quasi patologica tanto da non
riuscire a suonare se gli altri lo guardano. Lo studio viene allora allestito
con quattro pannelli scuri che lo circondano e gli lasciano una privacy
sufficiente per portare a casa le registrazioni. |
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La serie
di eventi che hanno contrassegnato la sua esistenza fanno sì che quello
immortalato sulla copertina del suo primo disco sembri un uomo molto più
vecchio dei suoi ventun anni. L’album è un piccolo gioiello che viene
ciclicamente riscoperto, grazie anche all’influenza che i suoi brani continuano
ad avere ai giorni nostri, vuoi attraverso cover (Simon and Garfunkel, Counting
Crows, Sandy Denny, Bert Jansch, Nick Drake e Mark Lanegan solo per citare i
più famosi), vuoi per l’inserimento di alcuni brani in film e serie televisive.
Le tre tracce di apertura (Blues run the
game, Don’t look back e Kimbie)
non lasciano dubbi sulle qualità compositive e di interpretazione del nostro ma
davvero si fa fatica a trovare un brano non all’altezza.
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Proposte di Ascolto
(clic on the pic)
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Blues Run The Game |
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Don't Look Back |
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Kimbie |
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Nonostante
la buona accoglienza che Jackson C. Frank e il suo disco di debutto riescono ad
avere in Inghilterra, già nel 1966 si affacciano per la prima volta i problemi
di salute mentale che non lo abbandoneranno più. Questi, uniti a un blocco
creativo e al rapido esaurimento dei soldi ricevuti dall’assicurazione, lo
convincono a tornare in patria, dove viene a stento riconosciuto dai suoi
amici. La sua musica caratterizzata da un perfetto connubio tra chitarra e voce
prende una piega completamente diversa, fatta di distorsioni, rabbia e frasi
incomprensibili, una combinazione che la rende praticamente inutilizzabile a
fini commerciali.
Il
matrimonio con Elaine Sedgwick e la nascita dei loro figli, un maschio e una
femmina, sembrano regalargli un po’ della tanto sospirata serenità. Per
pochissimo: la precoce morte del figlio per fibrosi cistica mina in maniera
irreversibile la stabilità del matrimonio e si porta via in maniera definitiva
anche la sua sanità mentale, processo probabilmente accelerato anche dal fatto
che la moglie non gli lascia più vedere la figlia rimasta. Il ricovero in
ospedale psichiatrico è praticamente l’unica conseguenza possibile. Segue una
lunga e penosa successione di alti e bassi, di ricoveri e ritorni alla vita
normale, di amore e odio verso la sua stessa musica. In uno dei periodi di
permanenza a casa la madre, di ritorno dall’ospedale dopo un intervento al
cuore, non lo trova in casa senza che Jackson abbia lasciato nessuna traccia
del motivo della partenza. Solo diversi giorni dopo scopre che la fuga è stata
verso New York alla disperata ricerca di Paul Simon e di un improbabile
riscatto artistico. Il viaggio risulta vano e Jackson si ritrova a fare la vita
del senzatetto e a dormire sui marciapiedi.
A dargli
una mano nel 1995 è Jim Abbott, un suo vecchio fan che parlando della musica di
Jackon con un suo insegnante del college, scopre che quest’ultimo è stato suo
compagno di studi al Gettysburg College. Jim Abbott riesce a rintracciarlo
quasi miracolosamente a New York ma quello che vede lo turba più del dovuto: la
fisionomia di Jackson C. Frank è stravolta dai problemi di tiroide e dalla vita
condotta fino a quel momento che lo hanno reso sovrappeso in maniera
difficilmente immaginabile. Con tutta la cautela del caso Jim gli propone una
sistemazione a Woodstock, all’interno di una casa per anziani e Jackson C.
Frank accetta. L’ultima notte prima di trasferirsi la passa su una panchina nel
Queens. Ma, evidentemente, la tranquillità e la pace interiore non sono nel
destino del cantautore. Proprio quella notte incrocia la strada di una banda di
teppistelli che per passare il tempo non trova di meglio da fare che sparare in
giro con un fucile ad aria compressa. Jackson C. Frank si trova nel posto
sbagliato al momento sbagliato e in pochi secondi si ritrova senza l’occhio
sinistro.
Nonostante
la sfortuna incredibile, Jackson con l’aiuto di Jim riesce a trasferirsi a
Woodstock e a dedicarsi alla sua musica con la necessaria tranquillità. A
questo punto, se fossimo in un film, specie se americano, il destino terrebbe
in serbo per lui un successo mondiale per il suo secondo disco con il pubblico di
tutto il globo che finalmente gli attribuisce il valore che Jackson C. Frank
merita. La verità è che il materiale prodotto porterà solo a riedizioni del suo
disco d’esordio con l’inserimento di inediti e a misconosciute raccolte di
demo. Jackson C. Frank muore in Massachussetts il 3 Marzo 1999 per la
combinazione di un attacco cardiaco e di una polmonite. Aveva 56 anni.
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“Jackson
era un genio assoluto. Molta della musica di quel periodo venne fuori grazie a
lui. Blues run the game ha influenzato quasi tutti coloro che l’hanno
ascoltata. Si potrebbe dire che ha cambiato il volto del cantautorato” (Bert
Jansch). |
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Autore : Federico Piva, 28/03/2022 |
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