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IGGY POP and THE STOOGES

RAW POWER


Una NON recensione

Le indicazioni dalla redazione sono state molto chiare: nel 1973 è uscita una infinità di grandi dischi per cui il nuovo numero di RockGeneration.it dovrà essere una sorta di monografia su alcuni dischi che in questo 2023 hanno compiuto o compiranno 50 anni. La reazione d’istinto è stata quella di saltare un turno: nel 1973 i miei genitori neanche si erano conosciuti. Cosa posso aggiungere io, che sono nato quattro anni dopo, che non sia ancora stato detto su degli album che hanno superato il test del tempo per ben cinque decenni? Soprattutto oggi che chiunque sia interessato può recuperare tutto il materiale che vuole con pochi clic?

Nello scorrere la lista dei dischi di quell’anno ce n’è però uno che mi ha fatto cambiare immediatamente idea: è Raw Power di Iggy Pop e i suoi Stooges con cui ho una storia d’amore che inizia nel 1993 quando lessi in una rivista dell’epoca Kurt Cobain che lo eleggeva a suo disco preferito.

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Adesso c’è da fare uno sforzo enorme: provare a cancellare mentalmente tutto quello che è venuto dopo (i Sex Pistols, il CBGB’s, Patti Smith, i Television, Richard Hell e compagnia) e immaginarsi cosa possa aver significato in quel 1973 comprare il disco, abbassare la puntina e venire tramortiti dalla Search and Destroy che potete ascoltare cliccando sull’immagine qui sotto:

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Il processo che porta ad un simile concentrato di rabbia e disadattamento sociale è tutt’altro che lineare. Nel 1972 gli Stooges non sono più una band. I primi due dischi (The Stooges del 1969 e Fun House del 1970 che poi diventeranno comunque dei classici) hanno venduto una miseria e il delirio che puntualmente si scatena ai loro concerti convince la Elektra a lasciarli senza contratto. Iggy Pop sembra avere davanti a sé un futuro da tossico ex cantante di cui solo gli appassionati più incalliti un giorno si ricorderanno. C’è solo un artista che si incarica di tenere duro al posto suo nonostante tutto sembra volgere al peggio. È lo stesso Iggy che ricorda: «Pochissime persone furono in grado di riconoscere le qualità degli Stooges; l’unica persona che abbia mai conosciuto in grado di notarle, tra i miei colleghi musicisti, era David Bowie. Le notò da subito». Dalle parole ai fatti: Bowie convince il suo manager Tony DeFries a prendere in scuderia anche Iggy che di lì a poco firma un contratto da solista con la Columbia e si trasferisce a Londra per permettere a Bowie di tenerlo lontano dalle tentazioni più tossiche e per lavorare a un nuovo disco insieme al chitarrista James Williamson, che aveva già suonato con gli Stooges come seconda chitarra. In Inghilterra però faticano a trovare una sezione ritmica che faccia al caso loro; la soluzione è quella che sembra più scontata ma che si rivelerà la più difficile: richiamano i fratelli Ron e Scott Asheton e riformano il gruppo sotto il nome di Iggy and the Stooges. Per forza di cose però Ron viene relegato al basso, scelta che non digerirà mai fino in fondo.

È lo stesso Iggy che si incarica della produzione. Il risultato è di una potenza quasi spaventosa. Non sono in grado di analizzare ogni singola traccia ragionando sull’apporto di ogni singolo strumento, non ne ho la minima competenza. La sensazione che mi ha sempre dato l’album ad ogni ascolto è quello di una festa illegale nel seminterrato di un ristorante elegante di una metropoli americana, in cui a fine serata si riuniscono i camerieri insieme alle prostitute di strada, agli spacciatori e ai disperati per ballare, per sballare, per dimenticarsi delle umiliazioni della giornata, per buttare nel fuoco i dischi progressive, i diplomi del conservatorio, i libri più alla moda e i manuali per condurre una vita di successo. È quello per cui in fondo è nato il rock: quattro reietti che attaccano le spine, alzano al massimo gli amplificatori e sputano fuori la loro disperazione verso un mondo che va nella direzione opposta. La voce di Iggy è quanto di più distante dal bel canto si possa immaginare: assomiglia a un leone in una gabbia, butta nel microfono qualsiasi suono gli venga in mente e il microfono spesso distorce le sue urla. L’acceleratore è al massimo e anche quando i quattro pazzi rallentano, il ritmo non è quello del riposo ma quello dell’intontimento da eroina. I temi riguardano soprattutto il sesso, la droga e l’enorme difficoltà ad adattarsi ai valori di una società che li rifiuta. Nel Luglio 2021 è uscito Born in a Trailer – The Session & Rehersal Tapes ’72 – ’73, un cofanetto che raccoglie le sessioni di prova di questo capolavoro, che si tengono nei CBS Studios di Londra tra il 10 Settembre e il 6 Ottobre 1972; è il veicolo perfetto per smontare uno dei luoghi comuni più diffusi del rock: che l’interpretazione perfetta possa esserci solo una volta, un istante che, grazie all’intesa dei musicisti, a un incredibile accumulo di intensità e una ispirazione assoluta non potrà mai più ripetersi. Beh, niente di più sbagliato si direbbe ascoltando questo cofanetto: in tutte le versioni di Search and Destroy ma anche di Gimme Danger o di Raw Power, Iggy sembra caricarsi sulle spalle gli altri tre e portarli in un posto sconosciuto che si trova ben oltre il limite umano, guidandoli con sperimentazioni vocali che ogni volta sembrano essere quelle definitive. Non so a chi sia toccato scegliere la versione da inserire nel disco ma di sicuro non deve essere stato un lavoro facile.

Il risultato di quei giorni viene rigettato dalla Columbia che chiama in causa David Bowie per remixare il tutto. Qui i ricordi dei protagonisti e la verità storica sembrano divergere. Bowie ricorda che Iggy gli consegnò un nastro a 24 tracce ma che era stato inciso solo su 3: una per la voce, una per la chitarra e una per il resto della band, praticamente nulla che si potesse remixare; il suo lavoro si sarebbe limitato solo ad alzare e ad abbassare la voce. Nel documentario di Morgan Neville uscito nel 2010 invece si vede chiaramente che ogni strumento venne registrato nella propria traccia. Non è chiaro a questo punto se si tratti di un ricordo sbagliato di Bowie o se a quest’ultimo fosse stato consegnato un nastro che Iggy aveva furtivamente modificato per far sì che il risultato finale non si discostasse molto da quello voluto dall’iguana.

Il disco esce il 7 febbraio 1973 con in copertina una foto scattata da Mick Rock che negli anni si affermerà come il fotografo delle rockstar e la rockstar dei fotografi per il suo stile di vita che combaciava perfettamente con quello dei suoi gruppi preferiti.  (vedi link >>>>)

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Il mix è quello di Bowie con la sola Search and Destroy che viene mantenuta intatta per il veto imposto da Iggy Pop. Per anni girerà però tramite un bootleg chiamato Rough Power anche la versione mixata da Iggy fino a che nel 1997 venne finalmente pubblicata in via ufficiale. Il dibattito su quale sia la migliore è praticamente infinito con personaggi illustri (compresi i musicisti degli Stooges) a schierarsi da una parte o dall’altra. Nel 2023 ognuno si può fare la propria idea. Il parere di chi scrive è che in entrambe le versioni il capolavoro emerge in tutta la sua grandezza.

Dopo l’uscita del disco gli Stooges al gran completo vengono parcheggiati da Tony DeFries, occupato a gestire il crescente successo di Bowie,  in una villa di Hollywood per le prove della imminente tournée. È più o meno l’inizio della fine. I giorni diventano indistinguibili dalle notti e la villa si trasforma in un girone infernale dedicato a tutti i vizi. Si alternano i manager e a turno i musicisti vengono licenziati e poi riassunti. È col manager Jeff Wald che partono in tour nei migliori locali d’America, tra cui il Max’s Kansas City a New York e il Whisky a Go Go a Los Angeles. Gli show sono devastanti in tutti i sensi possibili.

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Il canto del cigno arriva al Michigan Palace di Detroit la notte del 9 Febbraio 1974 quando le infinite provocazioni di Iggy Pop vengono raccolte dagli spettatori che lanciano sul palco e sui musicisti tutto quello che hanno in mano o che trovano in zona. Il gruppo si scioglie quella notte e Iggy si ritrova senza band e in uno stato mentale incredibilmente vicino alla follia.
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Commercialmente il disco segue le tracce dei due predecessori con vendite decisamente deludenti ma il destino di venire fortunatamente rivalutato negli anni dino a diventare un caposaldo di un certo modo di intendere la musica rock.

Gli Stooges si riformeranno nel 2003 per una serie di concerti negli Stati Uniti e in Europa senza però, inutile dirlo, nemmeno lontanamente ricordare i fasti disperati degli anni d’oro. Iggy invece riuscirà incredibilmente a riprendersi da quell’abisso e, anche se con alterne fortune, proseguirà con una carriera solista di successo


Autore : Fecerico Piva, Marzo/2023