“If
we give ourselves to every breath, then we’re all in the running for a hero’s
death”, se ci concediamo ad
ogni respiro, siamo tutti in lizza per una morte da eroe. Basterebbe forse
questo verso per riassumere la poetica dei Fontaines
D.C., per chi scrive di gran lunga la miglior rock band degli ultimi anni.
Il verso è tratto dalla title track del loro secondo album, A Hero’s Death e i Fontaines D.C. lo prendono pari pari da The Hostage, un’opera teatrale di Brendan Behan, uno dei più famosi poeti d’Irlanda e punto di
riferimento per gli attivisti repubblicani.
Il gruppo si forma a Dublino nel 2017 quando i cinque
componenti (Grian Chatten alla voce,
Carlos O’Connell e Conor Curley alle chitarre, Conor Deegan al basso e Tom Coll alla batteria) si incontrano
al BIMM, il British and Irish Music Institute. Il loro primo interesse in
comune sembra però essere la poesia, tanto che scrivono insieme due raccolte,
intitolate rispettivamente Vroom e Winding.
Come la gran parte dei musicisti irlandesi, continui
sono i riferimenti alla loro terra d’origine nei testi, tanto che praticamente
ogni loro brano che parla delle tensioni della vita di tutti i giorni ha una
seconda lettura, forse meno immediata della prima, che porta le parole ad
aderire perfettamente a qualche episodio della storia d’Irlanda e viceversa
ogni brano più direttamente legato alla madre patria diventa una scusa per
parlare d’altro in un modo di scrivere quasi ipnotico.
Non ci sono virtuosi nei Fontaines D.C.: a me piacciono particolarmente le soluzioni che Conor Deegan trova con il suo basso,
sempre pronto a suggerire una percezione delle canzoni leggermente diversa da
quella che arriva con la melodia e le parole di Grian Chatten, ma difficilmente gli amanti degli assoli impossibili
potranno calmare la loro sete tra i solchi dei loro dischi.
Ad oggi hanno pubblicato tre dischi: Dogrel del 2019, A Hero’s Death del 2020 e Skinty
Fia del 2022. Sono tre dischi parecchio diversi uno dall’altro.
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Il mio preferito rimane Dogrel, il disco d’esordio. È sicuramente quello con il suono più
grezzo dei tre ma dentro ha tutto il mondo dei Fontaines D.C. e la scaletta è imbattibile: una corsa al
fulmicotone di quaranta minuti in cui un paio di celestiali ballate aiutano a
tirare il fiato. È anche il lavoro in cui viene fuori tutta la passione per la
poesia che da sempre accomuna i cinque irlandesi. Basti ad esempio il testo di Chequeless Reckless in cui raccolgono
alcuni dei loro pensieri elaborati durante le lunghe passeggiate a Dublino
negli anni del college: “A sellout is
someone who becomes a hypocrite in the name of money, an idiot is someone who
lets their education do all of their thinking, a dilettante is someone who
can't tell the difference between fashion and style, charisma is exquisite
manipulation”, un tutto esaurito è qualcuno che diventa un ipocrita in nome
dei soldi, un idiota è qualcuno che delega tutto il proprio modo di pensare
alla propria educazione, un dilettante è qualcuno che non sa riconoscere la
moda dallo stile, il carisma è squisitamente una manipolazione.
A
Hero’s Death è un lavoro
sicuramente più complesso. La rabbia cieca dell’esordio lascia spazio alle
riflessioni amare, portate avanti alzando molto più spesso il piede dal pedale
dell’acceleratore. Il legame con la loro terra diventa se possibile ancora più
forte e più esplicito a partire dalla copertina che raffigura la statua di Cú Chulainn, un semi-dio della
mitologia irlandese, scolpita da Oliver
Sheppard e che si trova al General Post Office di Dublino per volere di Éamon de Valera (uno dei padri della
repubblica d’Irlanda) per commemorare la rivolta di Pasqua del 1916, un evento
che ha profondamente segnato l’immaginario dei Fontaines D.C. e che incontreremo anche più tardi. Ė quello che i
critici definirebbero un disco di transizione, per fortuna con una qualità di
scrittura sempre ad altissimi livelli.
Skinty
Fia esce meno di due anni più
tardi, nell’Aprile del 2022 ed è una sorta di chiusura del cerchio. A leggere
le note di copertina, poco sembra cambiare rispetto ai due predecessori: la
formazione è sempre la stessa, il produttore è sempre Dan Carey e l’etichetta sempre la Partisan. In realtà è un disco pronto per fare il botto, e il botto
puntualmente arriva. Il gruppo rimane in quello che sembra uno stato di grazia,
prosegue il cammino verso una produzione sempre più curata e precisa senza
mollare un millimetro di intensità, diversi sono i singoli radio friendly. La
tavolozza sonora della band si arricchisce di nuovi colori e, fatto nuovo per
il gruppo, anche al di fuori delle varie tonalità del grigio e del nero. Il
disco diventa il loro primo a raggiungere la prima posizione nelle classifiche
inglesi ed irlandesi. La band si guadagna meritatamente lo status di superstar,
certificato anche dalla vittoria di un Brit
Award per il miglior gruppo internazionale.
Ci sono alcune bands che attraversano momenti di
incredibile ispirazione creativa, in cui sembra che tutto il materiale a cui
mettono mano diventi oro; succede a pochi e per periodi molto limitati di tempo
e i Fontaines D.C. sembrano proprio
in quel momento: a Marzo di quest’anno è uscita Cello Song, una loro versione di un classico di Nick Drake che anticipa l’uscita di un
disco tutto dedicato al cantautore inglese e che, tanto per cambiare, è una
vera goduria. La potete ascoltare con un click sull’immagine qui sotto:
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Ma gli appassionati della musica dei cinque di Dublino
hanno anche un’altra meravigliosa fonte a cui abbeverarsi per placare la sete
della loro musica. Ė un concerto registrato in Irlanda il 14 Luglio 2020,
dunque in pieno lockdown e un paio di settimane prima che uscisse A Hero’s Death, il loro secondo lavoro.
Ma stavolta è la location a fare la differenza. I Fontaines DC sono infatti ripresi mentre suonano da soli
all’interno della prigione di Kilmainham
Gaol, uno dei luoghi più importanti per la tradizione irlandese, famosa
soprattutto per aver ospitato, prima di essere giustiziati, i leader della
Rivolta di Pasqua del 1916 durante la quale i repubblicani irlandesi tentarono
di prendersi l’indipendenza dal Regno Unito con la forza. È davvero un evento
cruciale della storia irlandese, dove l’inevitabile sconfitta sul campo si
intreccia con l’eroismo dei suoi protagonisti. Gli episodi di quella battaglia hanno
già affascinato il mondo della musica, dal traditional The Foggy Dew, poi interpretato dai più grandi della musica
irlandese, primi tra tutti i Chieftains,
alla Zombie dei Cranberries (ricorderete sicuramente la strofa "It's the same old theme since nineteen-sixteen").
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Lo spazio in cui suonano i nostri è molto simile alla
rappresentazioni delle carceri britanniche che spesso si vedono nei film: una
sorta di cortile interno circondato da quattro imponenti mura in cui a
intervalli regolari si inseriscono le celle, disposte su tre piani, che dal
basso sembrano tanti occhi neri. Sopra le teste dei componenti della band poi
si incrociano perpendicolari due passerelle, utilizzate per spostarsi più
velocemente da una estremità all’altra.
Rispetto al dinamismo tipico delle loro esibizioni dal
vivo, dove soprattutto Grian Chatten corre
da una parte all’altra del palco senza sosta, la band sembra quasi in
soggezione rispetto alla solennità del posto. È l’intensità a dominare la
scena. Ci sono alcuni momenti davvero densi, su tutti quando il cantante,
durante le canzoni più legate alla storia d’Irlanda, guarda in alto verso le
celle con una emozione difficile da controllare ma che si concentra tutta
nell’espressione degli occhi.
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Sono A Hero’s
Death (il cui verso più profondo trovate in apertura di articolo) e Dublin City Sky a trasfigurarsi, con il
testo che diventa una descrizione perfetta delle vite degli eroi che sono stati
ospitati in quella prigione. La commozione viene poi spazzata via da una
versione infuocata di Boys in the Better
Land che chiude il set.
La curiosità riguarda ora il futuro; l’impressione è
che i Fontaines D.C. nell’arco di
quattro anni e tre dischi abbiano compiuto un percorso impeccabile: l’esordio
sorprendente, il secondo disco più complesso ma altrettanto convincente e il
terzo album accompagnato dal il successo planetario. E adesso?
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