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FAIRPORT CONVENTIONI "Miei" Fairport Convention |
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Non si tratta di una semplice band. Non
sono stati un fenomeno passeggero come tantissimi altro. Non hanno mai suonato
tanto per farlo. Niente di tutto questo: i Fairport Convention sono gli
inventori del folk-rock (con buona pace dei Byrds), sono gli alfieri del suono
d’Albione, sono IL gruppo col quale chi vuole iniziare a suonare folk si deve
per forza confrontare. Insomma, il cardine di un movimento (il folk revival), che
prese il via, in maniera massiccia, nella seconda parte degli anni ’60. Certo,
negli anni precedenti ci furono precursori come Ewan McColl, Shirley Collins, Davy
Graham e altri a mostrare la strada della tradizione britannica, riproponendola
fine a se stessa. Ma dai fumosi club di Soho, dalle cantine di alcuni giovani
innamorati delle proprie radici, scaturì qualcosa di nuovo, che prese il
materiale tradizionale e lo colorò in maniera diversa e, soprattutto, autonoma.
I puristi inorridirono, ma il tempo ha palesemente dato ragione a questi santi
artisti. Fairport Convention, Steeleye Span, Pentangle, Albion Band (nelle
varie formazioni), soprattutto, ma anche Trees, Forest, Dr. Strangely Strange,
Fresh Maggots, C.O.B., Mellow Candle, ecc. sono eroi (inutile parlare al
passato, vista l’attualità del concetto, ogni giorno preso come esempio o
sfruttato da giovani che stanno ricalcando la stessa strada), mai possibile è
stato cercare di inscatolarli in invenzioni di genere quali wyrd folk, psych
folk o strange folk. E’ folk e basta, reso attuale. Già, perché solo chi
continua a riproporre la tradizione fine a se stessa la fa morire; i nostri gli
hanno donato nuova linfa e da essa diversi movimenti si nutre per andare avanti
nella commistione d’intenti: questa è la vita dell’arte musicata. Ora non è il
caso di riportare l’excursus della band, che potete tranquillamente trovare in
rete o meglio ancora nei libri scritti su di loro (ovviamente in english); il
mio desiderio è quello di porre ai lettori la mia esperienza con loro e grazie
a loro. |
All’inizio fu una copertina di un disco,
che fortuna volle essere il manifesto del folk-rock: “Liege and Lief”, anno di
grazia 1969. Lo trovai, o lui trovò me, in un banco di un mercatino, quando
avevo appena 10 o 11 anni; all’epoca ero in fissa con hard rock e heavy metal,
dopo avere respirato solo musica Classica fino ai 6/7 anni, grazie a mio padre.
Fu il mio zio materno a introdurmi ai suoni pesanti, grazie a Black Sabbath,
Uriah Heep, Led Zeppelin. Infanzia dominata da una non scelta formativa.
Rovistando fra i tantissimi album nei negozi, nei mercati (appunto) o a casa di
conoscenti, appena potevo ne compravo uno, frutto di una spasmodica ricerca e amore
viscerale verso la musica, grazie ai miei risparmi dalle paghette che ogni
tanto mi venivano date da genitori e zii. Tornando a “Liege and Lief” notai
queste immagini bucoliche, figlie di altri tempi, ma incorniciate dal colore
rosa, quindi non banale. Volevasi raggiungere le sensibilità altrui, fin da
subito tramite un flash, poi coi suoni. Lo presi senza esitare, anche se sapevo
non far parte dei generi fin lì affrontati. Appena lo misi sul piatto dello
stereo di mio padre (io non ne avevo ancora uno) mi sentii a mio agio, così
perfettamente che non mi ero mai sentito. Avrebbero potuto raccogliermi col
cucchiaino, addirittura, tanto ero (ri)capitato nel mio vero mondo,
sciogliendomi. Quelle musiche, quell’incedere, quei canti non sembravano nuovi,
ma qualcosa di già vissuto, di già osannato; in breve, fu come tornare a casa.
Eravamo nella prima metà degli anni ’80, quello che si imparava lo si poteva
apprendere dai pochi giornali musicali che venivano quasi nascosti nelle
edicole, dai pochissimi libri (spessissimo generici) che ornavano piccoli
settori delle librerie; oppure grazie ad amanti della musica che, come me, la
studiavano quotidianamente, ben consapevoli del fatto che sarebbe servita nel
proseguo dell’esistenza molto più che espressioni matematiche tanto odiate,
quanto inutili. |
Chi erano Sandy Denny, Ashley Hutchings,
Richard Thompson, Simon Nicol, Dave Swarbrick e Dave Mattacks? Cosa fecero
prima e dopo quel capolavoro? Dove potevo andare per comprare altro materiale?
Tenete conto che Internet non c’era, Amazon tantomeno, quindi o si andava in
negozi specializzati di dischi (quasi sempre nelle grandi città) oppure si
acquistava a scatola chiusa tramite corrispondenza. Alcuni esempi? A 13 anni
andai e tornai in bicicletta da Fontanellato a Salsomaggiore per investire
tutti i miei pochi averi allo Sweet Music (che Dio l’abbia in gloria); sempre a
13 anni, con mio cugino, andai a Milano ai vari Mariposa, Messaggerie Musicali,
Supporti Fonografici; a 14 anni presi il primo treno (da solo!) e andai a
Bologna per “capitare” al Disco d’Oro e da Nannucci; a 18 anni, con un amico,
andammo da Carù, nel varesotto, con patente fresca di due giorni. Insomma, non
si trattava di infatuazione, ma di vero amore. Poco per volta riuscii ad acquistare
“Full House”, “Unhalfbricking”, “Angel Delight” e tanti altri dischi dei
Fairport Convention, compreso un libro che custodisco gelosamente come una
reliquia (forse il primo scritto su di loro), fino a capirne il percorso
artistico costellato di gioie, lutti, picchi, cadute, addii e reunion, ma
sempre nel comune denominatore del folk, seppur andando ad abbracciare altri
ambiti (per esempio considero “Nine” uno dei dischi Prog migliori di sempre, di
fatto il loro disco più vicino al Prog). Anni e anni passati a vivere ogni nota
delle loro composizioni, dei loro arrangiamenti dei traditionals, fino ad
iniziare a collezionare i dischi solisti dei loro componenti passati e
presenti. La loro è una discografia quasi infinita, soprattutto se consideriamo
i tantissimi live usciti nel corso degli anni. Per completarla c’è voluto tanto
tempo, impegno, dedizione, soldi e sentimento. Ma ce l’ho fatta. |
La prima volta che vidi un loro concerto
dal vivo fu nel giugno del 1998 (un po’ tardi a dire la verità) in una cascina
nei dintorni di Rozzano (MI), in coppia con i Jacqui McShee’s Pentangle,
siccome il batterista Gerry Conway, marito di Jacqui, militava in entrambe le
formazioni, dopo l’abbandono dello storico Dave Mattacks. Fu bellissimo
salutarli da perfetto sconosciuto, trovarsi insieme a tanta altra gente al
cospetto di questi grandissimi musicisti. Gran concerto. Il clou di quell’anno
avvenne dopo un paio di mesi, siccome io e mio cugino andammo al loro Cropredy
music festival, nell’Oxfodshire, che altro non è che il loro annuale meeting
nei prati della loro Inghilterra. Due giorni di meraviglie, di bevute, di
abbracci, di conoscenze inaspettate (Ric Sanders, il loro violinista dal 1984),
di typical english rain, di grandissimo divertimento, ma soprattutto di magie
sonore. In tenda da Fontanellato, passando per Londra ospitati da un amico
comune. Avventura senza pari. |
Poi venne il 2003 e il loro concerto al
castello di Torrechiara, organizzato dall’Accademia degli Incogniti (capitanata
dal maestro Paolo Galloni, medievista, saggista e scrittore di infinite
capacità) al quale partecipai in veste di tuttofare, di fatto un regalo immenso
che il mio amico Paolo mi fece. Dapprima li aspettammo nella piazza, per poi
portarli a dissetarsi al bar dell’albergo Gardoni; conoscendoli mi furono
subito simpatici e affabili, tranne il loro defunto manager, uomo integerrimo
dal piglio sicuro, a dir poco. Poi li accompagnammo nel cortile d’onore a fare
il soundcheck, io portai Gerry e Jacqui, che furono inorriditi dalla mia guida,
ma stemperarono la mia irruenza con il loro humor. Dopo una doccia
rinfrescante, fui scelto per portarli a cena al ristorante del castello,
scoprendo che Ric Sanders e Chirs Leslie (i due violinisti) sono astemi e
vegetariani, non come tutti gli altri, grandi amanti del buon vino e del buon
cibo padano. Io a cena con i miei miti, vedete un po’ voi…Finito il convivio,
tutti su a preparare il concerto, tranne il sottoscritto e Dave Pegg (bassista,
con loro dal 1970, infinita anima e sorriso perenne) perché ci fermammo a
degustare diversi nocini offerti dal ristoratore. Gli spiegai che non riuscendo
a trovare un loro semi-bootleg (“The Other Boot/The Third Leg”) non sapevo come
fare; bè lui si scrisse il mio indirizzo su un pezzetto di carta volante, se lo
mise nella tasca dei suoi bermuda, salì sul palco, fece un ottimo concerto e se
lo portò con lui in Inghilterra. Dopo un mese mi arrivò un pacco anonimo da
oltre Manica e con mio stupore di trattava della sua copia autografata del
cofanetto che gli avevo chiesto, con tanto di lettera accompagnatoria scritta
di suo pugno. Quel musicista, già con Ian Campbell Folk Group e Jethro Tull, si
ricordò di Andrea Pintelli, uno dei suoi tantissimi ammiratori. E sì, mi
commossi. Un grandissimo. Tornando al concerto, Parma si accorse che c’era
tanto oltre la lirica: l’entusiasmo alle stelle fece un piacere immenso ai
Fairport. Ci salutammo e andarono a dormire in quella calda serata di Luglio.
Dopo due giorni, tornai a vederli al Celtic Music Folk Festival a Ostiano (CR);
altro grande concerto, con i due violinisti che trascinarono e fecero ballare
quelle tante persone che inondarono l’area. Alla fine andai a salutarli nel
backstage, che era vietato agli estranei, ma appena mi videro mi fecero le
feste. Non esagero. La gente antistante tutta lì a chiedersi quel ragazzo che
veniva accolto con tanta amicizia dai protagonisti della serata. Ero solo un
loro fan, uno che era loro amico da trenta anni che li aveva conosciuti
personalmente solo adesso. |
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Autore : Andrea Pintelli 08/03/2022 |
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