Il 1969 è stato un anno di svolta.
L'anno di passaggio dal decennio del “favolosi anni 60”
ai travagliati anni 70 è stato denso di
eventi iconici: Woodstock, la morte di Brian Jones e il concerto commemorativo
dei Rolling Stones a Hyde Park, il leggendario raduno di Woodstock, la fine dei
Beatles con il travolgente concerto di addio sul tetto della Apple, la loro
casa discografica.
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Julie Driscoll, cantante, compositrice, attrice, pittrice,
nata a Londra nel 1947, entra nell'ambiente musicale in qualità di
amministratore del fan club degli Yardbirds, ingaggiata dall'impresario Giorgio
Gomelsky, noto come produttore dei primi Rolling Stones e come manager di alcuni gruppi della scena prog
inglese come Soft Machine e Gong.
Gomensky intuisce il talento della giovanissima Julie e
la convince ad intraprendere la carriera di cantante professionista,
favorendone, nel 1965, l'ingresso come vocalist nel gruppo blues-rock 'The
Steampacket', in cui militano Long John Baldry, Rod Stewart e Brian Auger.
Con quest'utlimo, tastierista e virtuoso suonatore di
organo Hammond, nel 1967 forma un gruppo denominato Julie Driscoll, Brian Auger
& The Trinity, che raggiunge la popolarità con alcune
splendide cover, in salsa rhythm & blues e rock, come 'This Wheel's On
Fire' di Bob Dylan (che arriva alla posizione n.5 della classifica inglese dei
singoli), 'Season of the Witch' di Donovan e 'Save Me' di Aretha Franklin, che
ottiene un notevole successo anche in Italia.
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Brian Auger e Julie Driscoll formano una coppia
straordinaria: lui, grandissimo organista dal sound personale basato sui
registri percussivi del suo Hammond B3, i cui trascinanti assoli fondono rock,
jazz e blues; lei, avvenente e sensuale, con una voce soul potente e raffinata,
che con il suo look variopinto e le sue movenze flessuose entra
nell'immaginario collettivo, definendo, nei magici anni della swinging
London, un riferimento di stile hippie-psichedelico.
Nel 1969, producono, per l'etichetta 'Marmalade' di
Giorgio Gomelsky, il doppio album 'Streetnoise', sbalorditivo risultato della
loro alchimia, che, al netto delle frequenti incursioni nel pop, sebbene
elegante, li consacra come alfieri di un nuovo genere rock-jazz che
rappresenterà uno dei punti di partenza per certa musica progressive britannica
(da Soft Machine a Emerson, Lake & Palmer).
Ma il 1969 sarà l'anno del cambiamento anche per Julie
Driscoll. Dopo quattro anni passati quasi esclusivamente in tour, prima con gli
Steampacket e poi con Brian Auger e i Trinity, il peso del successo e
dell'interesse da parte dei media era diventato per lei insostenibile.
"Era qualcosa di impossibile da gestire e non volevo
nemmeno farlo" ricorda Julie nel luglio 2006. "Mi
sono resa conto molto presto della falsità di quel tipo di esistenza, e non ero
il tipo da credere alla fama o lasciare che tutta quella roba mi montasse la
testa. Ad un concerto, in particolare, con Brian avevamo suonato in un modo che
sentivo non fosse proprio all'altezza dei nostri soliti standard perché eravamo
tutti molto stanchi per il continuo tour. Ma il pubblico, grazie alla nostra
reputazione, non si è accorto di nulla e ha pensato che fosse meraviglioso. Mi
sono ritrovata a pensare quanto tutto ciò fosse ridicolo, rendendomi conto che
stavano semplicemente idolatrando la nostra immagine piuttosto che il
contenuto.”
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Durante questo periodo, Julie Driscoll
trascorreva i suoi rari momenti di tranquillità scrivendo materiale proprio,
nonostante non avesse una vera e propria formazione musicale. Suonava la
chitarra acustica e spesso con la band eseguiva qualche piccolo cameo nel corso
dei loro concerti. Ma si accorse presto che, pur continuando ad amare il lavoro
con Brian Auger e i Trinity, la sua arte stava andando in una diversa
direzione.
E così decise di lasciare la band,
incoraggiata anche da Giorgio Gomelsky che le diede l'opportunità di registrare
quello che sarebbe stato il suo primo album da solista. Era il 1970: in quegli
stessi giorni, il manager stava producendo l'album di debutto di Keith
Tippett, un talentuoso pianista e compositore jazz. L'album era "You
Are Here...I Am There" ed ebbe un impatto immediato sulla cantante.
Racconta Driscoll : "Pensavo solo che stavo aspettando di sentire cose
del genere da anni; mi aveva davvero toccato. Giorgio ha suggerito che avremmo
dovuto incontrarci e chiedere a Keith di fare alcuni arrangiamenti per il mio
disco."
Dopo aver visto il sestetto di Tippett
esibirsi al Marquee di Londra, Keith e Julie si misero al lavoro. Rinchiusi
giorno e notte negli uffici di Gomelsky, elaborarono gli accordi e le partiture
delle sue canzoni, iniziando un legame affettivo e professionale che sarebbe
durato per cinquant'anni fino alla scomparsa di Keith nel 2020.
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I risultati del lavoro si vedono in “1969”, il
bellissimo album di esordio di Julie Driscoll, che dopo il matrimonio con Keith
Tippett, avvenuto nel 1970, assunse il cognome Tippetts (vero cognome del
marito). Le canzoni, tutte scritte da Julie e arrangiate dal neo-coniuge,
vedono le performance di alcuni fra i più noti musicisti della scena rock-jazz
londinese che sarebbero confluiti nei Soft Machine (Elton Dean, Mark Charig,
Nick Evans) nonché i contribuiti pianistici dello stesso Tippett, che poco
dopo, con una buona parte degli stessi musicisti, avrebbe dato vita al progetto
Centipede, prodotto da Robert Fripp. Quest'ultimo avrebbe anche beneficiato del
talento di questi artisti per caratterizzare in modo decisivo gli album
'Lizard' e 'Islands', nella prima era dei suoi King Crimson.
Il titolo dell'album “1969”, pubblicato nel 1971,
evidenzia l'importanza che ebbe quell'anno nella svolta della carriera
artistica dell'autrice e i testi delle canzoni rispecchiano i suoi sentimenti
in questa fase di cambiamento.
Da quel momento la collaborazione in casa Tippett diede
numerosi frutti, di altissimo livello: da 'Septober Energy' dei Centipede,
lavoro corale a cui Driscoll contribuisce con i suoi testi e con i suoi
vocalizzi, a 'Blueprint' del Keith Tippett Group, in cui la voce di Julie entra
a far parte della struttura dei brani composti dal marito, inserendosi in modo
naturale nella performance free del gruppo.
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Nel 1975 viene pubblicato il secondo album solista di
Julie Tippetts, “Sunset Glow”, ancora più affascinante del primo, che
vede protagonisti, oltre al marito, lo stesso gruppo di musicisti di “1969”. Il
disco, introvabile per molto tempo e rimasterizzato recentemente, è un'opera
che si sottrae alle classificazioni, passando con disinvoltura dal pop al jazz,
dal blues alla musica sperimentale.
Negli anni successivi, la carriera di Julie Tippetts è
ricca di collaborazioni, sia in studio che dal vivo, e si sviluppa prevalentemente su canoni che si
avvicinano sempre più alla musica moderna d'avanguardia, come, ad esempio, nel
suo terzo lavoro solista, “Shadow Puppeteer” del 1999, dove la
sperimentazione diventa estrema, creando atmosfere che spaziano da sonorità
etniche a vocalizzi, in una fitta trama contrappuntistica e polifonica.
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La pulsione verso il jazz sperimentale e la musica
d'avanguardia si esprime anche nei successivi lavori con il suo compagno di
vita e di arte: Keith & Julie Tippett danno vita nel 1988 al progetto che,
sotto il nome 'Couple in Spirit', produrrà due dischi, nel 1988 e nel 1997, e
li vedrà impegnati per lunghi anni in concerti in tutto il mondo, anche in
Italia, fino a poco prima della scomparsa di Tippett avvenuta nel 2020.
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Nel 2023 vede la luce un nuovo album, ulteriore capitolo
del progetto 'Couple in Spirit': ripreso da una idea del 2019 e portato a
termine da Julie anche senza Keith, recupera vecchie registrazioni live del
duo, impiegandole come base per produrre una nuova opera di questa grande
coppia artistica della musica contemporanea. |
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Proposte di Ascolto (clic
the pic)
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Julie Driscoll - Save Me (1967)
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Julie Driscoll - Leaving It All Behind - da "1969" (1971) -
Julie Tippets - Mind Of A Child - da "Sunset Glow" (1975)
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Keith & Julie Tippett – Couple in Spirit - Midnight Rain (2013)
Live al Conservatorio Nicolini di Piacenza
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Autore :
Stefano Sorrentino, Maggio 2024
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