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FRANCESCO DE GREGORI

DE GREGORI (1978)


Le parole dopo il silenzio

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E' difficile pensare che Francesco De Gregori, reduce dai successi degli album 'Rimmel' (1975) e 'Bufalo Bill' (1976) e, anche se appena venticinquenne, già uno dei cantautori italiani più rappresentativi del periodo, dovesse essere costretto ad un ripensamento sulla sua vita e sulla sua carriera musicale. Ciò che cambiò per sempre la sua prospettiva di esistenza e di arte, fu il “processo” politico al quale venne sottoposto, suo malgrado, il 2 aprile del 1976, al PalaLido di Milano, durante una tappa del tour di 'Bufalo Bill', da parte di un gruppo di extraparlamentari di sinistra, che, come narrano le cronache dell'epoca, gli contestarono violentemente di essere troppo compromesso con il sistema per essere un “compagno” e lo invitarono a suicidarsi “come Majakovskij”.

degregori_5.jpgLa notte stessa De Gregori dichiarò che non avrebbe mai più cantato in pubblico e mai più composto canzoni. Un vero e proprio addio alla musica da parte di un giovane cantautore, la cui sensibilità non poté reggere l'urto sconvolgente della realtà violenta dell'Italia di quegli anni.

Ma un vero artista non può smettere di creare.

E dopo due anni esatti da quell'evento così traumatico, nell'aprile del 1978, De Gregori ritorna sulla scena musicale producendo il nuovo album, il quinto da solista, che si caratterizza immediatamente per il basso profilo che il cantautore intende mantenere: il titolo dell'album è semplicemente 'De Gregori', la copertina riproduce una foto dell'artista che gioca a pallone in mezzo a un grande prato. In definitiva, il disco intende presentarsi come una immagine nuda e cruda di se stesso, senza spiegazioni o ammiccamenti, senza ulteriori chiarimenti per l'ascoltatore. E la stessa atmosfera si respira ascoltando il disco, la stessa voglia di semplicità e un malinconico struggimento che pervade tutti i brani anche quelli che apparentemente si presentano con un arrangiamento più ritmato o più pop.
degregori_4.jpgNei dischi della sua precedente produzione, De Gregori ha da sempre lasciato tracce del suo impegno politico e sociale, della sua adesione ad una ideologia più o meno genericamente di sinistra, che lui stesso non ha mai rinnegato. Nonostante i testi fossero sempre mimetizzati nel loro caratteristico ermetismo, era evidente l'ispirazione di alcuni pezzi che, con il senno di poi, sono stati forse esageratamente interpretati come dichiarazioni di fede politica. Mi riferisco in particolare ad alcune famose canzoni dell'album 'Rimmel', come 'Pablo' (con il suo velato riferimento alla Spagna franchista) e  'Le storie di ieri' (che contiene sottili ma più evidenti richiami a Mussolini e all'epoca fascista). D'altra parte, nelle interviste De Gregori ha sempre negato che le sue canzoni fossero veicoli di messaggi politici e sociali, un po' come fece Bob Dylan (a cui peraltro il nostro Francesco spesso si è ispirato) quando, intorno al 1965, rinnegava apertamente, di fronte ai giornalisti e alle tv del mondo intero, che la sua fosse una canzone di protesta e che contenesse messaggi di qualunque tipo.
Nell'album della rinascita, dopo il “processo” del PalaLido, i riferimenti alla realtà politica e sociale non svaniscono del tutto, ma si fanno ancora più velati e nascosti. Di sicuro i testi diventano ancora più ermetici e di difficile interpretazione, ma lasciano più spazio alla poesia e soprattutto lasciano la libertà all'ascoltatore di coglierne le sfumature liriche e immaginifiche.
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Dei dieci brani del disco, tutti scritti da De Gregori, il pezzo più famoso è sicuramente "Generale", sempre presente nei suoi concerti dal vivo: può essere interpretato come un brano anti-militarista sulla guerra, ma lo stesso autore ha dichiarato in una intervista che descrive anche il ritorno a casa, dal campo di battaglia o dal luogo di lavoro, dato che ogni giorno ciascuno di noi combatte una guerra per la propria sopravvivenza fisica o mentale. Si tratta di una lettura come un'altra: ricordiamo infatti che De Gregori evita sempre, nelle interviste, di descrivere la vera natura dei propri testi e molto spesso è abituato a fornire interpretazioni volutamente spiazzanti per il pubblico. 

D'altra parte, per amare l'opera di De Gregori occorre accettare incondizionatamente di farsi suggestionare dalle parole, dalle loro associazioni e dal mix con la musica, senza preoccuparsi del significato o dello scopo della canzone.

Questa regola è particolarmente evidente nella prima discografia del cantautore e questo disco ne è una testimonianza estrema, un punto di non ritorno oltre il quale ci sarebbe stato forse solo il caos. Infatti dai dischi successivi, De Gregori inizierà anche a narrare storie più esplicite ma sempre con il suo stile ermetico, in canzoni ormai mitiche, alcune diventate anche veri e propri inni, come 'Viva l'Italia', ma anche 'Caterina', 'La leva calcistica della classe '68', 'San Lorenzo', per citarne solo alcune.

In questo album, talvolta il titolo aiuta a inquadrare il significato della canzone, come in 'L'impiccato', in cui proprio il titolo consente di fotografare l'atmosfera e l'esito finale di un interrogatorio in questura. Oppure 'Babbo in prigione' che fornisce la spiegazione di un brano che, nonostante l'apparente fragilità di un arrangiamento esile con solo pianoforte, narra di violenza domestica, tema purtroppo sempre tragicamente presente nelle cronache dei nostri giorni. Oppure ancora 'Il 56' che descrive i ricordi del bambino De Gregori che giocava con carrarmati di cartone mentre in Ungheria, in quello stesso anno, si consumava il dramma dell'invasione sovietica con veri carrarmati.

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In altri casi, il titolo è invece del tutto fuorviante come nel caso di 'Renoir', il pittore?, il regista?, qualcos'altro?, comunque il brano, il più esplicitamente dylaniano dell'album, non lo cita mai; anzi “i” brani, perchè, trovata geniale, ce ne sono due versioni: la prima, alla fine della prima facciata dell'lp, con un arrangiamento che ricorda un pub fumoso e rumoroso, con pianoforte scordato e voci stonate (solo apparentemente); la seconda, all'inizio della seconda facciata, un lento blues, accompagnato da steel guitar.

'Natale', celeberrima ballata in stile country folk, spesso riproposta nei concerti live, descrive “à la De Gregori” un amore lontano in un'atmosfera invernale e natalizia. In 'Raggio di sole', altra famosissima ballata, De Gregori, come dichiarato nelle interviste, si è fatto ispirare dalle sensazioni della paternità alla nascita dei suoi due gemelli. 'Due zingari', toccante brano il cui stile preannuncia i lunghi anni di collaborazione con Lucio Dalla, conclude l'album con un testo che è una poesia ricca di riferimenti alle situazioni della vita metropolitana, vista dalla prospettiva di due giovanissimi zingari.

Ma il brano più enigmatico e, proprio per questo il più bello, per me resta 'La campana', che con il suo lento arpeggio di chitarra elettrica e l'arrangiamento scarno, ma in qualche passaggio arricchito da una base di archi e mandolino, descrive lo sconforto di un uomo ma forse anche la sua speranza di salvezza; mai come in questo caso, per assaporare la canzone, occorrerà lasciarsi trasportare senza remore dal flusso di parole e dalla progressione di accordi, melodie e armonie

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Generale
(testo e musica di Francesco De Gregori)

 

Generale, dietro la collina
Ci sta la notte crucca e assassina
E in mezzo al prato c'è una contadina
Curva sul tramonto, sembra una bambina
Di cinquant'anni e di cinque figli
Venuti al mondo come conigli
Partiti al mondo come soldati
E non ancora tornati

 

Generale, dietro la stazione
Lo vedi il treno che portava al sole?
Non fa più fermate, neanche per pisciare
Si va dritti a casa senza più pensare
Che la guerra è bella, anche se fa male
Che torneremo ancora a cantare
E a farci fare l'amore
L'amore dalle infermiere

Generale, la guerra è finita
Il nemico è scappato, è vinto, battuto
Dietro la collina non c'è più nessuno
Solo aghi di pino e silenzio e funghi
Buoni da mangiare, buoni da seccare
Da farci il sugo quando viene Natale
Quando i bambini piangono
E a dormire non ci vogliono andare

Generale, queste cinque stelle
Queste cinque lacrime sulla mia pelle
Che senso hanno dentro al rumore di questo treno?
Che è mezzo vuoto e mezzo pieno
E va veloce verso il ritorno
Tra due minuti è quasi giorno
È quasi casa, è quasi amore

 
Proposta di Ascolto (clic the pic)
 
degregori_video%20.bmp Generale

yu1.jpg  link al Focus #8/2023


Autore : Stefano Sorrentino, 10/09/2022