LETTERATURA |
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Fernanda Pivano – C'era una volta un Beat
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Fernanda Pivano
(1917-2009)
è stata una traduttrice, scrittrice, giornalista e critica musicale italiana.
Raggiunge la vetta della sua popolarità, negli anni 60-70, quando
fu la traduttrice e curatrice di alcuni volumi di nuovi scrittori e poeti
americani, fra cui Allen Ginsberg, Jack Kerouac e Gregory Corso, dando un
contributo fondamentale alla scoperta e alla divulgazione, anche in Italia, del
movimento cosiddetto della beat generation che avrebbe avuto una significativa
influenza su una intera generazione di giovani di tutto il mondo.
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Nel 1976, esce per la Arcana Editrice, il suo volume
'C'era una volta il Beat – 10 anni di ricerca alternativa' in cui narra molti
episodi vissuti in prima persona e documentati dalle fotografie scattate dal
marito e designer Ettore Sottsass. Uno dei capitoli di questo libro, ambientato
a Parigi nel 1961, narra dell'incontro nella città parigina con Ginsberg e
Corso, proprio nel periodo in cui Fernanda Pivano stava preparando la
pubblicazione di due libri che avrebbero avuto enorme successo, 'Jukebox all'idrogeno'
(raccolta di poesie di Allen Ginsberg) e 'Poesia degli ultimi americani'
(antologia dei poeti della Beat Generation). Abbiamo voluto proporre questo
capitolo del libro, perché ci sembra particolarmente interessante per
documentare le vicende di un periodo fecondo e irripetibile della grande
letteratura americana e mondiale.
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Fu allora che incontrai Ginsberg
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Il 31 marzo 1961
mentre uscivo dalla casa di Alice Toklas (la compagna di Gertrude Stein, Ndr)
a Parigi incontrai Allen Ginsberg, che passava da rue Mazarin con Gregory
Corso e Peter Orlowski, il poeta che viveva e continua a vivere con lui. Fu
gentilissimo. Stavo preparando per Feltrinelli l’antologia che si sarebbe
chiamata
Poesia degli Ultimi Americani
e per Mondadori la raccolta che si sarebbe chiamata
Jukebox all’Idrogeno.
Ginsberg mi aiutò enormemente per l'una come per l’altra cosa.
Qui siamo al tavolo in una camera dell’albergo Lutetia dove passammo alcuni
pomeriggi a lavorare.
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Su
questo piccolo notes Ginsberg mi scrisse spiegazioni e definizioni. Le conservo
ancora e sono pagine preziose di un epistolario che mi è molto caro e prima o
poi affiderò alla Columbia University che conserva tutte le carte di Ginsberg.
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Mentre
lavoravamo e Sottsass prendeva le fotografie, Gregory Corso e Peter Orlowski
passavano il tempo o dormendo o sdraiati sui letti o sfogliando riviste o
chiacchierando sottovoce. Alla fine della giornata la stanza era così piena di
fumo che ci bruciavano gli occhi.
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Quando
non lavoravamo alle antologie andavamo in giro per la città. Un giorno andammo
al Louvre perché Ginsberg voleva mostrarmi il quadro di Paolo Uccello che era
piaciuto a Kerouac. Lungo la strada incontrammo un vecchio che suonava
l’organino e Ginsberg volle parlare con lui e dargli dei soldi. La
conversazione fu lunga, e Peter Orlowski, qui a sinistra nella foto, era molto
interessato. Molti anni dopo, quando Ginsberg girò il mondo come un troubadour
accompagnandosi nel cantare mantra e poesie col suo piccolo armonium indiano
portatile, mi ritornò in mente l'organino di quel vecchio suonatore.
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Gregory
Corso decise con fermezza che voleva un gelato. In realtà credo che volesse
divertirsi a guardare il gelataio mentre lo preparava ma Peter Orlowski gli
trovò subito le monetine per pagarlo. Ginsberg guardava interessato.
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Andammo anche sull’Isola di San Luigi, naturalmente, a sederci
nel giardinetto sotto una pioggia troppo leggera per aprire l’ombrello e
abbastanza pesante da intriderci gli abiti di umidità. Decidemmo di fare una
foto di famiglia. E ci mettemmo tutti in posa.
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La sera andavamo per lo più nei
caffè, ai Deux Magots se c’era posto o al Flore o dove capitava. Ginsberg era
infaticabile. Parlava per lo più di prosodia, o di altri poeti, o dei rapporti
tra la sua poesia e quella di altri. Non parlava mai della vita privata sua e
dei suoi amici. Una volta gli dissi: « Ormai state diventando troppo famosi,
bisogna che si sappia come sono andate veramente le cose »; e lui mi rispose,
bevendo tè alla menta in un ristorante arabo: « E’ proprio il momento di
inventare tutto ».
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Una mattina
Ginsberg, qui a sinistra nella foto, mi fece incontrare ai Deux Magots Maurice
Girodias, qui sullo sfondo dei taxi che stazionano davanti al Caffè. Girodias è
l’editore di William Burroughs e di autori considerati dalla signora De Gaulle
pornografici, che venivano pubblicati nella Olympia Press. L’Olympia Press
stampava libri in inglese e qualcuno lo avevamo letto anche noi, per esempio
certi racconti di Apollinaire, certe traduzioni di testi classici cinesi e
l’indimenticato libro che Restif de la Bretonne scrisse per fare rabbia al
Marchese de Sade. A quei tempi questi libri parevano soltanto libri
pornografici ma più o meno consciamente era chiaro che se uno pubblicava tante
storie pornografiche così giuste e così leggibili, così «letterarie» e così
liberatorie, stava facendo a proposito del sesso un’operazione che oggi si
direbbe politica: stava cercando di rompere con l'accerchiamento sociale della
repressione sessuale.
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Un
giorno cominciammo i nostri giri andando a prendere Gregory Corso in
albergo, in rue Git Le Coeur, che allora non aveva nome e molti anni dopo,
rimodernato e diventato
pellegrinaggio di curiosi e giornalisti si
sarebbe chiamato Hotel Paris. Mentre mangiavamo couscous in un ristorante marocchino
Ginsberg mi aveva parlato di Ray Charles, che aveva citato in
Howl
e io non avevo ancora incontrato di persona. Arrivati in albergo mi fece vedere
un disco che per lui era stato significativo e me lo fece ascoltare a pieno
volume.
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Il 30 aprile
1961 Ginsberg mi scrisse la prima di una lunga serie di lettere. Eccola, come
ricordo commosso di un'amicizia durata tanti anni. La traduzione dice: «
Troverai acclusi due saggi che erano nel Village Voice (di New York). Credo che
Mondadori o
qualcuno li volesse, non sono sicuro. Uno è
per la tua informazione sugli scritti di Kerouac e II Dottor Sax. L’altro è un
saggio sulle droghe e il controllo, ecc. Questo è ristampato nel
Casebook
of the Beat, ma qualche frase è saltata e il testo è cattivo.
Andiamo a Cannes per due settimane e dopo non so dove. Puoi raggiungerci
all’American Express di Parigi comunque. Cordialmente Allen. P.S. Il testo del
Saggio
su
Howl nel Beat Casebook è anche alterato
sicché se va tradotto, usa il vero testo sulla fascetta del disco ».
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Stabilito che « L’Antologia
Ginsberg » andava bene si trattava di decidere il titolo. Vittorini propose
Poesia
come Urlare, Ginsberg contropropose il 4 marzo 1964 The
Hydrogen
Jukebox in questa lettera: « No proprio non mi piace il titolo
Poetry like howling, è troppo lungo e non è abbastanza poetico. Prova The
Hydrogen Jukebox se in italiano suona bene. (O altrimenti La Morte è un Lettera
che non è mai stata mandata) (oppure L’agnellosexy) (oppure Gli Agnelli
Tremanti) oppure Gas Esilarante oppure Trappole degli Spettri oppure Assaggia
la mia bocca nel tuo Orecchio. Immagino che vogliano un titolo con dentro Howl.
Forse Urlo del Jukebox all’Idrogeno? Ho molta fretta così ti rispondo in
fretta. Com’è bello che il grosso libro sia pronto. Hai ricevuto
Reality
Sandwiches ? ».
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Il 13 marzo 1964 Vittorini
accettò il titolo proposto da Ginsberg. Erano passati un anno e quattro mesi da
quando avevo consegnato la traduzione (il 24 novembre 1962).
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Tra tanti problemi da tavolino
sembra emblematica questa fotografia di Ginsberg, Orlowsky e Corso che se ne
vanno per la loro strada.
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link al Focus #7/2024
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Autore : Stefano Sorrentino, Aprile 2024 |
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